lunedì 30 settembre 2024

OMOLOGAZIONE DIECI ANNI DOPO

Per molti di voi sembra una cosa senza senso: molti blog, gli stessi testi solo organizzati in modo diverso. C’è una gran parte di ragione. Però tutto questo non vi crea alcun fastidio e il vero problema, in qualsiasi modo io abbia organizzato la mia scrittura, è ben altro. Attiene ormai da molto tempo alla mia fine sostanziale come blogger, alla mia palese incapacità di relazionarmi con questo esterno virtuale e alle conseguenze prevedibili di tale difetto. 
All’inizio leggevo circa una trentina di blog ogni giorno e ne commentavo almeno una ventina anche se non vi era nulla da commentare! Avevo intuito che l’unico modo per esserci ed essere letto qui è visitare in modo visibile e tracciabile gli altri blog: non ci sono alternative alla lettura dei vostri post con commento a seguire. Il “like” è soltanto un succedaneo di poco conto. Commentare è indispensabile, presenziare una conditio sine qua non, se non ci riesci il tuo spazio torna ad essere un diario privato segreto non dissimile da quelli cartacei di vetusta memoria. Compreso questo assioma di fondo cercare blog degni di spingermi ad un commento meno formale diventò il mio impegno primario: in quest’ottica fino a tre anni fa ho girato il web in lungo e in largo , attirato come sempre dalle diversità culturali e concettuali rispetto alle mie. Ovviamente le diversità non sono quasi mai “facili”, “discorsive” o interlocutorie sic et simpliciter. Io nella mia ricerca ho trovato un certo numero di spazi interessanti e stimolanti e un numero enorme di altri assolutamente inguardabili e, si badi bene, al di là della correttezza sintattica e della bellezza letteraria dei testi. Molti blog possiedono insito questa specie di cancro, alcuni insospettabili e la malattia viene fuori appena nel contatto comunicativo ti discosti dal trend dei commenti già presenti e dall’ideologia concettuale di base presente in essi. E’ stato così che per indole mia ho iniziato ad interrogarmi pubblicamente sulla sostanza comunicativa reale dei blog e su quella specie di galateo virtuale che li domina. 
Tali riflessioni sono risultate assolutamente indigeste alla maggior parte di voi: in alcuni casi sono state il motivo di querelle pesanti, inutili e distruttive per il sottoscritto. Alcuni di voi me lo hanno detto senza giri di parole: basta non ti sopportiamo più! Peccato per i testi di lamenti e autocommiserazione sul mondo dei blog… ti avrei letto con più piacere! Sei insopportabile e ripetitivo… etc etc. Comincio a pormi seriamente alcune domande... Il contatto con il mondo spirituale e intellettuale di ognuno di voi non può essere gestito allo stesso modo per tutti. Ci sono blog nei quali il testo è in sè concluso, non ha senso aggiungere nulla. In questo caso che si fa? Si scrive ho letto? Mi piace? Non mi piace (non è previsto)? Si ripete con altre parole il concetto già espresso dall’autore? Con le poesie ad esempio è difficile aggiungere e commentare qualcosa che abbia senso, La poesia è già una metafisica superiore, si assorbe e basta; non siamo qui a fare saggistica o analisi delle parole e dei testi , non siamo al Liceo e nemmeno professori di lettere. Se lo siamo dobbiamo tenerlo da parte perchè un blogger è altra cosa. Un blogger scrive, legge la realtà sua propria e la propone fuori, se una lirica è bella a mio parere l’unica cosa che si può fare e cercarne altre e ringraziare semplicemente l’autore. Ho incontrato inaspettatamente in rete un buon numero di poeti e poetesse di spessore: quasi tutti soli, isolati e senza lettori, con una pletora in coda di “bello, bellissima, meravigliosa, brava, Unica….”. Praticamente mai un commento che entrasse dentro la sostanza e l’armonia dei versi in questione. 
Sui blog gli argomenti di tipo esistenziale “degenerano” perchè hanno la peculiarità di essere privati, intimi, strettamente personali; su di essi il commento può al massimo definirsi in un – l’ho vissuto anch’io- perchè discuterne in termini di confronto con la propria diversa esperienza ha secondo me un senso relativo. Esiste anche il rischio di diventare invasivi, duri, supponenti e da un testo pulito possono nascere commenti sporchi. Gli argomenti di tipo sociale, politico e storico sono nei blog materiale esplosivo! Esattamente come lo sono i medesimi sugli altri media. Leggi entri e commenti SOLO se la tua opinione è in linea con quella dell’autore e degli altri commentatori. Altrimenti crei solo le premesse per farti mandare più o meno elegantemente a quel paese. Un vero peccato perchè è proprio in questi campi che la comunicazione del web tra i blogger potrebbe dare frutti notevoli, diversi dalle manfrine prevedibili e scontate dei canali ufficiali. Qualunque sia l’argomento trattato nei testi il sistema più semplice, quello più produttivo e comodo nei blog è usare il commento in modo incolore, indolore, simpatico e gioviale: ciò trasforma i colloqui ( con o senza moderazione) in vere e proprie Chat. Salotti più o meno zuccherosi pieni di trilli, ammiccamenti, stimoli che vanno in direzioni anche molte diverse dall’argomento proposto, seduzioni velate. E’ comprensibile che in tale contesto un blog diventi un oggetto diverso da un diario spirituale personale. I commenti sarebbero la vita e la morte di quello che scrivo, la mia liberazione filtrata dal mio sacrificio di dovermi confrontare con sintassi e storie diversissime da me. Non sono elegante e disponibile, spesso me lo impongo perchè sento che la luce che ho intravisto nei miei sogni ad occhi aperti vi comprende tutti; donne, uomini, omosessuali,poeti e puttane, letterati per finta e artisti universali caduti per caso su queste pagine. 
Sta diventando sempre più difficile tutto: I COMMENTI e le teorie interpretative da cui scaturiscono sono sempre più spesso “fantasiose”. Le relazioni virtuali che nascono dalle cose che scrivo arrivano a distanze stellari dalle loro premesse! O sono false quest’ultime o c’è qualcosa di intimamente errato nelle loro dinamiche. Noi come generazione di blogger siamo al novanta per cento dei cafoni virtuali senza speranza e senza cultura, dirlo, riconoscerlo e darsi da fare per imparare qualcosa è il primo indispensabile passo.

mercoledì 25 settembre 2024

UN'ALTRA SICILIA, dedicato a Gingi


Signora, ignoravo l’abitudine del barone Cupani che somiglia per certi versi al tentativo di riempire lo spazio vuoto attorno a sè. 
Il Tomasi ne scrisse nel suo romanzo, descrisse questa netta e per certi versi incomprensibile astrazione dal mondo corrente di coloro che culturalmente appartenevano ad una dimensione esistenziale diversa. Nel ballo a palazzo Ganci l’umanità in trine e frack probabilmente credeva veramente che la loro stagione non potesse finire mai; l’USA air force nel maggio del 43 diede loro una secca e definitiva smentita. Non si sopravvive a se stessi, non è possibile congelare i mille congegni che fanno di tanti particolari una società complessa. Tuttavia per chi seppur brevemente ha conosciuto questo tipo di umanità e cultura è molto difficile non pensare che almeno di essa dovrebbe serbarsi il ricordo intellettuale. Il Lucio Piccolo di Calanovella è l’autore dei ” Canti Barocchi”, Giuseppe Mostro scrisse ” il gattopardo”; non resta solo il ricordo di stranezze e snobistiche scelte a metà strada fra il divertito , l’ironico e il sinceramente voluto, c’è una profonda e amara riflessione sull’esistenza culturale dell’uomo nel suo universo, una trasposizione letteraria assoluta e di gran livello. Per certi versi potrei dire che certi gesti erano solo l’aspetto propedeutico ad una meno risibile considerazione della metafisica umana: la vicenda umana terribile di Raniero Alliata, dei suoi ultimi 20 anni asserragliato nel palazzo cadente assieme alla consorte norvegese (credo) preso dal vortice di convinzioni storiche astratte ma funzionali a un’idea precisa ( essere l’ultimo dei principi del Sacro Romano Impero… una clausura terminata con lui nel 1965) tutto questo non potrebbe avere senso se non in un contesto fuori dai canoni usuali. Raniero fu un entomologo di valore internazionale, visse e morì solo; dei canti barocchi pochissimi conoscono l’esistenza, il principe Salina è l’unico di cui si parli ancora ma credo per pochi anni ancora. C’è una severa lezione in queste esistenze a metà strada tra il vero e l’irreale, qui il ” sic transit gloria mundi” diventa il viatico per una lettura più attenta della poesia del vivere. Ma forse straparlo signora, i suoi ricordi si tendono verso i miei e, assieme, volano via. Non credo vi debba essere più di un leggero rammarico per una saga che è terminata da tempo anche se non c’è nulla di più spettacolare, più appassionante, più artisticamente stimolante di una generazione che si mostra nella sua agonia. Ti prego perdona la mia lunga intromissione…ma mi sono limitato.


venerdì 20 settembre 2024

DI NOTTE

Di notte anche i miei pensieri mi sembrano più grandi Si allargano spudoratamente oltre il confine delle mia immaginazione Non tengono conto delle mie ragioni dei miei dubbi Capire sembra più facile di notte scriverne più fluido, l’inganno della falsa comprensione più vicino. Di notte sono il pioniere di un nuovo viaggio là dove mi hai lasciato in balia di un sogno incompiuto.

domenica 15 settembre 2024

MONTALE


Eugenio Montale ha esercitato un influsso molto profondo e durevole sugli autori delle generazioni successive: non tanto per motivi di carattere formale (Ungaretti è stato molto più incisivo da questo punto di vista) bensì per motivi di carattere sostanziale per la visione e il sentimento della realtà. Ma per tutti o quasi quelli della mia generazione è stato l’ermetico per eccellenza e alla fine abbandonato. Una sera di febbraio del 1972 chiusi anch’io un suo libro: troppa fatica e nessun sugo. Chiusi e affermai che non mi avrebbe rivisto mai più (ho sempre avuto un rapporto personale con i poeti). Mi mancava il tempo solitario e l’intuizione, mi mancava il modo perchè ce n’è uno diverso da poeta a poeta, da stagione a stagione. Quando li ritrovai Montale scorreva fluido come acqua di sorgente ed io mi stavo già innamorando. Ancora oggi io non vedo nessuna vistosa rottura con la tradizione precedente sul piano delle soluzioni espressive, non noto nessuna innovazione di particolare rilievo. Sento invece, profonda, una continuità tonale con tutta la produzione che è stata alla base della sua formazione poetica e che comprende da Pascoli a D’Annunzio passando dal suo conterraneo Sbarbaro. Montale insomma non ha “trovate futuristiche” ma concentra in modo esclusivo la sua sensibilità ritmica, sintattica e lessicale su un lirismo asciutto, severo, essenziale. 
Troppo classico per un sessantottino nel pieno delle sue funzioni: un signore in giacca e cravatta che dal 1938 in poi, dalle Occasioni in poi, fu visto come un maestro anzi il maestro per eccellenza; il più ascoltato e autorevole poeta in ambito specificatamente letterario. E’ stato un crescendo graduale non un esploit, questo sobrio e austero detentore di una forma poetica, di un messaggio e della sua verità profonda non poteva che essere considerato un punto di riferimento. Oscuro, difficile, inarrivabile o troppo semplicemente ardito da risultare scomodo. Per me scomodissimo tanto che una sera di aprile glielo dissi a muso duro dopo aver chiuso il suo Satura II: Eugenio la smetta! Basta con tutta questa condiscendenza verso di lei, basta con questo continuo ossequio verso le sue opinioni che sembrano guidare la scena letteraria e poetica anche adesso (eravamo alla fine dei settanta). L’austero signore non rispose e mi guardò in silenzio. Poi riaprì il libro e mi recitò “Gli uomini che si voltano”


Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.

Sei un cretino Enzo, tra qualche anno sarai così, sarà questa la tua dimensione esistenziale. La poesia precorre i tempi, recita una punteggiatura affettiva e erotica che tu ancora non conosci, non dipende da me che l’ho scritta perchè le sue righe erano già dentro il tuo animo, dovrai solo trovarle, quando avverrà capirai e sarà troppo tardi. Anche per chiedermi scusa! Quarantanni ti sono bastati Enzo? Sei slittato molto tempo fa e ora corri sereno verso la fine senza sapere se fu un inganno o una fede che non vuole cedere.

martedì 10 settembre 2024

ESTATE

Estate
Le parole sono suono
amano il suo abbraccio
dividono i giorni
ammantano le notti.
Frinire intontisce l’estate.
Mia madre mi disse che stavo
sull’uscio
con lo sguardo perso
dentro il loro tziiitziiiitziiiiiitziiiiiiiiiiii
per ore
per giorni.
Per una vita.
Frinire lascia sempre aperta una porta
accoglie i sensi diversi
il giallo dell’arsura
il verde misurato
e antico degli ulivi
che finisce nel blu lontano del mare.
Le parole sono cicale
alberi
aria tersa o imbarazzata
di nuvole
segni
lacrime e dita scivolate
sulle spalle di un abbraccio.
Commiato e sussurri
per non cessare l’ipnosi
di un sogno.




giovedì 5 settembre 2024

LE MURA DELLE CATTIVE

Se fossi uno storico di livello, uno come Villari, ad esempio, oggi, affacciato da questa balconata, direi che essa e tutto quel che vi sta attorno, sono l’esempio perfetto dell’arretratezza e del distacco dall’altro mondo, dall’altra Italia, quella unita all’Europa. Se non avessi letto fin da ragazzo, se i miei non fossero stati quelli che sono ed io non avessi camminato su e giù per le strade di questa penisola vagheggerei facilmente facili scappatoie culturali per lasciare la mano. Se non mi fossi perso dentro certi tramonti e certi profumi e li avessi considerati solo parte di un bel viaggio esotico, oggi guardando il lungomare e la nave che sta per entrare in porto direi a me stesso: peccato tanta bellezza in tanto disordine. Ma parlare di Palermo, della mia città, del mio intimo è un’altra cosa, è un impresa non risolvibile in battute di forte impegno critico o di inesauribile affetto sconsiderato.
Queste sono le mura delle “cattive” cioè delle prigioniere del proprio stato di vedove e inavvicinabili signore del tempo che fu. Chissà come venne interpretato il nome in questi ultimi 3 secoli dalla gente che non masticava nemmeno l’abc della lingua latina? Importa poco, le Cattive continuarono per lungo tempo ad osservare, golose, la passeggiata sfarzosa di chi poteva uscire allo scoperto senza dar scandalo…salvo poi fare le medesime cose in modo più riservato dentro gli immensi saloni dei palazzi nobiliari. Palazzo Butera fa da sfondo e osserva severo la storia che è transitata da qui. Io provo a fare lo stesso e guardo tenendo poggiate le mani sul granito muschioso che delimita i bastioni. La storia prima vociante e adesso silenzio, la storia immota e quella che diede l’impressione di una gran corsa: tutta la storia insieme che preme su questo lungomare e nessuno vuole più ascoltare. Passarono le truppe garibaldine con le camicie piene di parole alte e romantiche, Patria, Unità, Italia…progresso. Prima di loro vicerè e imperatori, Normanni e Saraceni e altre parole, altre divise sotto lo stesso cielo e davanti allo stesso mare. Il Gattopardo incontrò qui la sua ultima signora, quella vagheggiata da sempre, e i suoi simili riempirono di luci e di lussi i saloni di questo palazzo e dei palazzi vicini: carrozze e sete fruscianti, baciamano e valzer a due passi dalla miseria più degradata.
Ma io sono un uomo del secolo scorso, per qualche strana condizione non ripetibile vivo davanti a quest’epoca che crede di poter essere quella definitiva…è giusto così perchè la speranza rinnovabile è l’unica cosa certa per ogni nuova generazione. 
Sapeste quanti lo hanno pensato: dignitari piemontesi e ragazze del bel mondo fin de siecle, vescovi cardinali e politici della Dc anni 50. Nessuno di essi “cattivo” ognuno dimentico del giorno in cui, 9 maggio del 43, questa città spari sotto 420 fortezze volanti della USA AIR FORCE. Ah gli americani come sanno risolvere alla radice ogni problema: nessuno sa con certezza quanti furono quel giorno i morti , tredici… quindicimila, le bombe della Pensylvania come viatico alla scomparsa di un mondo inutile e fuori mercato. Qua davanti sono passate le camicie nere di Mussolini e i picciotti di Totò Reina, i compagni di Peppino Impastato e le auto blu di Raffaele Lombardo. La mia città che fra poco sarà di nuovo sotto quel blu cobalto delle sere d’estate che non hanno nulla di umano, Palermo punteggiata da campanili, guglie moresche e ville liberty. La mia città che digerisce tutto e non si può comprare a nessun prezzo, la mia maledetta lezione di storia, di principi e comparse, di gloria e fine di tutto. Palermo di Elvira Sellerio e di Totò Cuffaro, Palermo fuori dall’Europa e dalla Padania, Palermo che ricorda i diciotto anni dalla morte di Giovanni Falcone e l’Italia, lo Stato Italiano che incredibilmente sopravvive ad una strage che nessun paese civile avrebbe sopportato. “Senza vedere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto” ( W. GOETHE). Un paradosso uno dei tanti, un ‘idea di nazione che passa dagli antipodi di Milano e Torino oppure la fine di quel sogno ( o menzogna) unitario che scavalcò lo stretto per tornare da dove era venuto. Non so perchè ma non mi riesce mai di parlare di Palermo: sono un siciliano del secolo scorso e come tutti i siciliani, sono al tempo stesso dentro e fuori gli eventi, sempre in preda ad astratti furori e amori infiniti, inquilino della Storia, pronto ad esserne sfrattato. U’ sapiti com’è no?