giovedì 25 febbraio 2021

POST AD PERSONAM

Scrivo post da anni, li scrivo ad personam: anzi li scrivo essenzialmente per due persone. 
Una sei tu che mi stai leggendo. Non ti conosco perchè non ho mai conosciuto realmente nessuno dei blogger con cui ho contatti, sicuramente ho letto molte cose tue e l’ho fatto con un’attenzione che tu non puoi nemmeno immaginare. Eppure non ti ho mai concretamente stretto una mano o guardato in viso: non ho mai visto le tue mani, le tue gambe, la tua bocca, come cammini e ti siedi, il colore dei tuoi capelli …o il profumo del tuo sesso. Non ti conosco però quando inizio a battere sulla tastiera so che ci sei tu davanti allo schermo e che tra un po’ leggerai; spesso parto da considerazioni immediate, magari lette poche ore prima sul tuo blog, o su un commento ad un tuo post, a volte resto assorto mentre ci penso, annuso nell’aria il sapore di quello che sei dietro le parole e penso che tu farai lo stesso con me. Scrivo per te ma dopo qualche riga tu diventi un altro blogger e poi un altro ancora…un turbinio di voci e di visi e di nick e parole. Non m’importa, scanso gli ostacoli e punto diritto su di te, ti porto me stesso, il suono della mia voce che mai sentirai e il colore vero dei miei occhi che ti guardano la nuca mentre mi leggi. Perchè l’altra persona per cui scrivo sono IO. Andiamo sempre in coppia io e te, anche quando vuoi restare solo e mi sbatti un click in faccia, anche quando fai finta di non capire… anche quando commenti da anonimo e mi viene da ridere, siamo tutti anonimi qui! Il fatto che io scriva per te non ti autorizza ad escludere gli altri, non ti da il permesso di requisire il mio amore tremendo per questo mezzo e la scrittura che lo esprime. Dovrebbe invece farti capire quanto sei sciocco, insulso e piccino quando fai dei miei pensieri un giocattolo privato. C’è sempre della musica mentre scrivo, io lo chiamo un vizio in chiave di sol, e c’è sempre una luce che mi guida, la tua, la tua, la tua , la tua e la tua….. So di essere un privato che si spoglia in pubblico, so che la nudità intellettuale è la più ambita e la più difficile da sostenere. Ma non fa niente: io scrivo lo stesso. E tu commenti, a volte in chiaro a volte in scuro. Poi mi arriva ad ondate il senso preciso di tutti i sussurri degli altri te che leggono e non si paleseranno mai e questa è la cosa più emozionante di tutte, questo mi consola, è la vera ragione per cui scrivo anche a me stesso. Ciao, ti voglio bene, non importa se sarò ricambiato. Scrivo post da molti anni, risiedo qui tra queste lettere ed ho un contratto d’affitto secolare, potrei sentirmi tranquillo, stabile e invece mi sento come se fossi già andato via. Nessuna donna può aiutarmi a rimanere, nessun corpo può risucchiarmi dentro di sè e riscaldarmi. Sono un estroflessione che si ulcera contro le pareti della vita. Però non voglio andarmene così, senza prima aver detto che mi manco da morire, le parole non sono forse musica? Vorrei fermarmi e raccogliere le ombre delle cose che ho lasciato in giro nel web in tutti questi anni: vorrei trovare lì il senso vero della vitalità, di un progetto che facesse a meno della mia cultura, dei miei drammi, dei miei addii, che facesse a meno dei ricordi se non riveduti e corretti….ma non posso fare a meno di me. Sono un “tutto compreso” e sono anche in buona compagnia. Le verità carezzate alla fine escono fuori e cominciano a rotolare per l’etere: ne ho raccolte alcune morbidissime e profumate, scivolavano mescolate ad altre meno attraenti. Ho scelto di portarmi a casa queste ultime: sono amanti meravigliose. La spinta che era forte un tempo, il desiderio di comunicare su questo mezzo e mettersi in contatto con tutti si sta ormai esaurendo. Non è una scusa di comodo, anzi si tratta di un disagio fortissimo. Io ci credevo, culturalmente tutta la mia generazione ingenuamente ci ha creduto: comunicare significava rispettare e rispettare era l’anticamera di capire. Non è più così ed oso dire che non è mai stato così sui blog. I motivi sono molteplici ma la cultura civile in senso stretto e quell’altra in senso lato ne sono i cardini: mi è rimasto questo spazio per raccontare a me stesso e a qualcuno di voi vecchie storie piene di incantesimi e magie, lontani profumi di stagioni irripetibili ma vere. Oltre un certo limite la vita acquista un sapore diverso e più ampio, si ridefiniscono i contorni del senso di vivere e della gioia che è insita in esso, anche le parole sono diverse e suonano un’armonia che è giusto incontrare lungo il proprio percorso. Adesso che l’estate pian piano fiorisce e la sua essenza permane sempre più forte come l’impressione di una parola inespressa, adesso che il tempo seguirà percorsi più lenti, adesso è l’ora di sedersi a guardare un nuovo giro del sole.

domenica 21 febbraio 2021

LIBERO

Esco di casa presto al mattino. 
Libero, sono libero, metto in moto e parto: percorso diverso stavolta. Scendo in studio dall’alto, così ad un certo punto si apre tutto il panorama del golfo. Apro il finestrino, l’aria è bellissima: libero sono libero mi ripeto. Ah… me lo voglio godere questo senso di vento e di cielo. 
Guardo più in là, verso sud. La costa si perde in un orizzonte sfumato ma io socchiudo gli occhi e lo vedo perfettamente cosa c’è più in là: vedo l’altra città, antica, e il suo porto e poi, più giù le lunghe spiagge che portano sino alle soglie dell’eden. Volendo domani posso tirare dritto e posso arrivarci: libero sono libero. Potrei anche fare tutto il giro di quest’isola, fermarmi dove capita per mangiare qualcosa in assoluto silenzio guardando il mare d’autunno e i suoi colori pastello. Montalbano sarebbe d’accordo. Perchè questa sensazione di leggera follia che un tempo contagiò Battisti non resta sempre con me? Dove se ne va quando mi tradisce con altre spiagge, altri amanti? Non sono libero! So che esiste la libertà ma ci gioco pericolosamente; la palpeggio e lei ride compiaciuta, carnale…poi scappa perchè il prezzo del suo amore è troppo alto. Per ora. Domani scappiamo insieme e, chissà, forse non torniamo più. Ci stabiliamo in uno di quei paesotti placidi sul mare, quelli carezzati dai gabbiani, dove non accade mai nulla e un Pc serve solo a commiserare il resto dell’umanità sciocca che non vede e non capisce. Lì persino Giulia e le altre avrebbero un senso diverso. Montalbano sarebbe d’accordo. Mi accendo una sigaretta, si è acceso il giorno.

mercoledì 17 febbraio 2021

CAOS

Tengo segrete alcune cose scritte nel tempo: le guardo con un finto sospetto...vorrei che si rivelassero da sole. Certune illanguidiscono da sè, altre sono partorite da momenti particolari. Questa è nata, come volontà d'uscire allo scoperto, per qualche chiacchiera al telefono con una donna "speciale": Caos è dedicata a lei.
Le ossessioni dominano questo paesaggio: una linea azzurra conosciuta fin da bambino sotto la guida di una madre attenta, dispensatrice di richiami segreti e di libri regalati con allegra noncuranza. Decine volte mi sono affacciato sul mar d’Africa in questi anni per cogliere la metamorfosi da vita a forma, la dialettica eterna, l’ossessione di Luigi Pirandello. Il mare in fondo alla vallata pigra è lattiginoso, sempre placido e sfumato in un chiarore che racconta lunghe partenze ed infiniti ritorni. Lo ricordo così dalla prima volta: dalla visita dei miei dodici anni con padre e madre a sorvegliare la mia inquietudine. “Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d'olivi saraceni affacciata agli orli d'un altipiano di argille azzurre sul mare africano... Per uno spavento che s'era preso a causa di questa grande morìa, mia madre mi metteva al mondo prima del tempo previsto, in quella solitaria campagna lontana dove si era rifugiata. Un mio zio andava con un lanternino in mano per quella campagna in cerca d'una contadina che aiutasse mia madre a mettermi al mondo... Raccattata dalla campagna la mia nascita fu segnata nei registri della piccola città situata sul colle... confesso che di tutte queste cose non mi sono fatta ancora né certo saprò farmi mai un'idea". Queste erano le parole del padrone di casa, di Pirandello, mi raccontava mia madre, traendole da un libro che teneva aperto davanti a lei. A quel tempo il maestoso pino vegliava ancora le ceneri rannicchiate dentro il muro ed io tremavo segretamente a quest’idea violenta di uno spirito-cenere diffuso tutto intorno, pronto a ghermirti e a cambiare la tua vita per sempre. Lo sgomento che provavo allora verso la desolante vista di Agrigento, quinta cenciosa a far da sfondo ai miei sogni di ragazzo non era inferiore. Il pino non c’è più, nulla dura per sempre nemmeno i nostri desideri; stavolta l’uomo non ha nessuna responsabilità verso i frutti del suo ingegno, l’albero fu messo con le radici all’aria da un violentissimo temporale una ventina di anni fa. Pirandello non avrebbe voluto sepoltura alcuna ma abbozzò un compromesso già nelle sue ultime volontà e lo ottenne: nudo e spoglio, cremato, a sorvegliare il caos indistinto dal quale tutti traiamo forza e voluttà. Non sono mai riuscito a considerare questo compromesso una forma di sconfitta, oggi mi sembra anzi una suprema attitudine al controllo di tutto, anche delle variabili della morte. Niente vorrei avanzasse di me; ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.” 
Respiro a fondo il senso di attesa di questo luogo e mi domando quanto io sia imprigionato dentro la parte mia di vita, quante battute ho pronunciato dentro l’ombra di questa rappresentazione; ma sono stato sempre attento, la mia parte e la vostra parte legate da una placenta vitale, preciso nei tempi e nei modi perché una battuta fuori posto e il teatro andrebbe in rovina. Questa è la forma signori miei, l’unica scelta possibile per un artista, la forma partorita da te, dalla tua arte, la tua visione dentro alla quale ti muovi come un’ombra. Le recite a soggetto sono possibili solo qui; nella vita concreta questo non è concesso, lì siamo solo marionette mosse dal vento con un canovaccio imposto misteriosamente e sempre nuovo e crudele per noi. Vorrei poteste sentire sul viso la carezza del lieve scirocco che sale dal mare e il grande silenzio che si allarga sul cuore.

venerdì 12 febbraio 2021

LA TRASGRESSIVITA' DI UN COMMENTO

Come avete potuto notare ho impresso a questo blog una certa accelerazione e ne ho spiegato i motivi; mi guardo attorno ( molto più spesso di quanto possiate immaginare) e vedo che in pratica sui blog nulla è cambiato. Le dinamiche relazionali pare che non possano svilupparsi se non nella identica direzione di sempre: commento- presenza-risposta-follow- costanza- attenzione- stanze riservate….etc etc Perchè dovrebbe essere diverso, pensateci. 
I commenti sono un blog. Sono anche l’eternità del post quando esso merita di vivere. Però i commenti sono un gesto d’amore e l’amore è intellettualmente esclusivo nel momento in cui lo pensi, definitivo e terribile appena lo hai scritto. Quindi commentare seriamente è trasgressivo e induce la gente ad odiare il miracolo che si crea tra il post e quel commento. Quando, fino a 6 anni fa, scrivevo su carta ero felice della mia solitudine e del tramite che costruivo ogni volta che l’attraversavo con le mie parole nero su bianco. Sui blog non è possibile, il tramite è nudo in pubblico, fragile e stuprato da occhi indiscreti. 
Non so che fare: non posso smettere di scrivere ma non posso nemmeno continuare a sottoporre le mie righe al ludibrio di un’interpretazione figlia di una cultura oscena e ignorante,
la stessa che fa dire alla quasi totalità di chi mi legge – ti amo , sei mio- ti distruggo ! 
Quello che ho deciso di fare è fregarmene totalmente e riempire anche questo luogo delle mie cose, di tutte le mie cose. Ho anche pensato di eliminare la moderazione dappertutto: così la rete e alcuni intellettuali per modo di dire mi distruggeranno con gran soddisfazione. Io sparirò sommerso dal gossip ma chi resta comprenderà (in ritardo) che io avevo ragione. Pubblicherò questo post ovunque, ribadisco questo concetto da anni ma sono tutti sordi ed io continuo a fare le spese di una stupidità nascosta e imprevedibile anche da parte di blogger insospettabili!

lunedì 8 febbraio 2021

MEZZORA PRIMA

Credeva di averne di più. 
A dir la verità non lo aveva mai considerato: il suo tempo nel tempo che viveva giorno dopo giorno. Pur avendolo riempito di un'infinità di cose inutili e lunghe, anche sacrificandolo ad una quantità di altri tempi diversi per fogge e prospettive, pensava di averne davanti ancora una misura praticamente infinita. Aprendo la porta dell'ascensore e premendo il tasto del piano quest'idea sottile cominciò a crescere dentro di lui: il tempo, il suo tempo a scadenza. Giunto al piano chiuse la porta del mezzo ad altre considerazioni scomode, aprì quelle dell'ufficio ed entrò. La decisione di prendere subito il caffè lo sorprese: era un gesto che stravolgeva le sue abitudini, non era nei programmi, non era nemmeno nella sua testa. Da dove veniva allora? La sua vita da moltissimo tempo aveva assunto a buon prezzo quel meccanismo autoregolante che serviva a non mettere niente in discussione: un'omeostasi esistenziale perfetta. E inutile.
- Faccia un caffè signorina, per favore. - Caffè dottore?
- Caffè Irene, un caffè. E me lo porti qui, per mezzora non ci sono per nessuno.
Il tempo riaffiorava lentamente ma con progressione costante; anche lì in quella stanza dove non aveva mai avuto cittadinanza, si ripresentava senza appuntamento. Era sgarbato. Trovare qualcosa per riempire il vuoto che riapriva scenari così lontani da non considerarli più personali, ecco cosa doveva fare assolutamente. Il vuoto si allargava e lui lo guardava immobile. Scrivere! Scrivere era la terapia giusta: lo aveva pensato quasi per sbaglio, non ci credeva fino in fondo. Scriveva da sempre senza pensarci, come un gesto fisiologico, solo un aspetto dell'equilibrio più vasto che governava la sua vita. Un breve cigolio alla porta indicò il caffè e il sorriso impacciato di Irene appresso a quello.
- Ecco dottore
- Lo lasci lì.
Pensò poi di non aver ringraziato come faceva abitualmente, evidentemente nulla quel giorno era usuale, nulla prevedibile. Accese il computer e guardò lo schermo luminescente per un attimo lunghissimo. Scrivere, provare a scuotere la patina di sottile e persistente condiscendenza all'impossibilità di comunicare al mondo che nonostante tutto egli esisteva. Un argomento! Gli serviva un argomento, qualcosa che suonasse con quel timbro inconfondibile che solo la vita vera possiede. Mandare in pensione l'anima dei giorni non era stata una buona idea, lo capiva adesso in quella stanza che non possedeva alcun appiglio per credere a una sequenza non meccanica dei gesti e delle parole. Il viso della ragazza gli entrò in mente improvvisamente, chissà da quanto tempo era seduto in un angolo silenzioso, i sorrisi non crescono mai senza una fede, senza un altro sorriso più intimo. Questo adesso gli galleggiava davanti e tutto il resto uscì sulla tastiera quasi in un fiato.


Imparai da bambino a centellinare
la magia che una ragazza
sparge attorno a sé.
Scivolare tra le pieghe di un suo
sguardo,
assaporare poi, nel ricordo
di un’ora dopo, l
a trasparenza di una mano,
il particolare timbro di un silenzio,
gli altri mondi
soltanto accennati in un volgere del capo.
Ti osservo ancora a quel modo
e tu giochi a far finta di non saperlo.
Imparai da ragazzo a rincorrere
la diaspora di pensieri
che una donna porta con sé.
Ed è così che non ho mai scordato
il primo stupore di te.
Un po’ di quella magia ancora s’insinua
tra noi
come una carezza di seta
al termine di questo giorno.

Aveva finito. Togliere la sordina ai propri pensieri lasciava nella testa una tabula rasa inaspettata e felice: bisognava soltanto lasciarla correre questa nuova sensazione, avrebbe raggiunto la ragazza e il suo cuore, i sogni di una vita diversa e di un tempo diverso. Era così facile, come non averci pensato prima? Facilissimo, leggero ed esaltante. Lo avrebbe rifatto! Tutte le volte che voleva lo avrebbe potuto rifare.
- Signorina sto uscendo. Telefoni a tutti e sposti gli appuntamenti al pomeriggio.
- Dottore ma...
Non si accorse dell'ascensore, dei tasti, dei piani, della gente. Non aveva tempo, non poteva perdere tempo. La macchina lo investì dieci metri dopo il portone mentre attraversava senza guardare per raggiungere il posteggio: un secondo prima di morire pensò che il tempo si era ripreso tutto, poi fu solo buio. Coloro che accorsero videro un cadavere sorridente di traverso sull'asfalto.
- Ma non è il dottore che lavora qui? Avete chiamato un'ambulanza?

lunedì 1 febbraio 2021

LA SERA DI SERA



E’ quando la luce vacilla
e va via che arrivano gli altri colori.
Tornano a grumi i ricordi
come collane delle altre vite
che io ho finto di dimenticare.
Si riflettono in questa,
danzano sui miei capelli,
mi trascinano, timido, in un ballo
pubblico sotto gli occhi di spettatori
diversamente interessati.
A volte rovescio il capo all’indietro
e mi concedo.
Allora è bellissimo,
i cieli, le strade, le stagioni,
i visi e le parole, mi sfondano
il cuore
senza farmi male.
Allora io sono vero, senza luci di scena
falsi eroismi, concrete paure.
Sono quel che mia madre ama e teme io sia:
un lucido errore che riconosce se stesso.
Aspetto che gli astri terminino
il loro ciclo, domattina non potrò dire di aver sognato
non riesco mai a dividere esattamente
i sogni dalla realtà,
l’oggi da ieri,
i miei occhi stanchi dai miei piedi
di bambino.
E’ di sera che il quadro si compone
ed io che sono malato
alzo il viso verso l’eco delle mie ombre
in direzione del mio respiro lontano.