giovedì 18 maggio 2017

CASA PROFESSA

...Poi scrissi scendendo a patti con tutte le illusioni. 

Fosse per me sarei ancora con fogli di carta e una penna in mano: nessuna tastiera e nessuno schermo se non il riflesso dei miei occhiali. Starei ancora in attesa di un’idea masticando pensieri un rigo dopo l’altro, con pigrizia, immaginando la vita come non è quasi mai e guardandola con lieta cupidigia quando ti passa accanto e ti lascia attonito davanti a tanta bellezza. Fosse per me sarei rimasto in questa città a metà strada fra l’Africa e L’Europa a domandarmi da che parte stare in un gioco sottile mai risolto. In fondo non mi dispiace camminare tra chiese barocche e cupole arabe, uno come me difficilmente troverà un posto fisso dove stare e digerire tutti i compromessi necessari per dire “ Qui mi va bene”. 
Pasqua a Casa Professa in un delirio di volute, marmi a mosaico e finestre a vetri colorati: i santi e gli angeli mi guardano immobili con fredda cortesia, certi dubbi passati sono stati mal digeriti. Però mi domando: ma come si può vivere senza un dubbio, una contrapposizione, un’ombra? Come fai ad amare il sole se non dopo un corridoio oscuro? - Buongiorno…scusi, ma lei non è il figlio del professore? - L’uomo che mi ha fermato con garbo è anziano, magro come una canna, adesso mi sta di fronte tenendosi il bordo del cappello per non farlo volare via. Ci scrutiamo quel tanto che basta, poi gli tendo la mano: 
- Cavaliere, è una vera sorpresa…si sono io, sono Enzo- 
ci sono due incontri contemporanei, due piani di ascolto e dialogo 
- Lei qui? Ma non abita in via Dante? 
-Si ancora lì, sempre nello stesso palazzo…è che ogni tanto mi piace camminare. Non gli dirò le fesserie di rito, abbiamo poco tempo per sprecarlo in frasi fatte 
- Cavaliere una volta mi dava del tu… Ride con gli occhi, ammicca e guarda in alto. 
- Sì, li ho tutti bianchi anch’io. E’ per questo che mi onora del lei, per farmi intendere che adesso faccio parte del circolo riservato? 
Ci stringiamo la mano con tranquilla energia promettendoci una decina di cose che certamente non faremo; d’altronde le poche che contano ce le siamo dette coi gesti e gli sguardi. Quei due sono molto più seri e sinceri, questi qua sono solo gli ambasciatori formali, gli indispensabili anfitrioni di un incontro. In Sicilia è quasi sempre così. I cannoli sono squisiti e freschissimi: li passo in rassegna nella pasticceria affollata e penso che questo posto sarebbe un buon palcoscenico per la commedia che si recita a soggetto tutti i giorni. Quando esco dal negozio i profumi mi inseguono per un buon tratto, fino al viale, quasi volessero impedirmi di pensare. Fosse per me avrei chiuso i contatti con la mia testa da molto tempo e avrei dato l’esclusiva ai sentimenti e alle emozioni. Ma il professore mi ha fatto studiare, d’accordo con mia madre, ed è per questo che non riesco a godermi un cannolo in modo acritico, una persona solo per ciò che è, una donna solo per come si muove, me stesso senza orpelli né parole. Sempre questa minchia di metafisica tra i piedi ! Anna deve aver chiacchierato spesso ed io devo avergli pure risposto, solo che adesso la risposta deve essere stata sbagliata. - “Non mi hai ascoltato, vero? Ma dove te ne vai? Sempre il solito: tu in giro per i fatti tuoi e io qui ad aspettarti come una scema.” 
Ride, per fortuna, oggi me la sono cavata. Poi si vedrà. Viale della Libertà è attraversato da una brezza leggera, gli alberi sono ancora spogli. Fosse per me sarei rimasto qui a far finta di aspettare la conclusione di un amore: sarei invecchiato con alcuni fogli di carta e una penna in mano. Avrei scritto lì sopra la gioia leggera e vanesia che mi dà essere vivo da queste parti.

lunedì 15 maggio 2017

L'OSSESSIONE DEL DESIDERIO


Tu sai perfettamente come compiacere un uomo ed io come fare lo stesso con una donna: che l’omologazione sia ancestrale o meno non ci tocca poiché sappiamo denudarci benissimo ugualmente. E mentiamo spudoratamente mentre lo facciamo. Voglio dirti una cosa: ci fu un tempo lunghissimo in cui mi piaceva molto essere amabile, sapevo ritrovarmi in un attimo ed ero estremamente determinato nel mio progetto seduttivo. Ah, quanto duravano le mie stagioni, le estati infinite a divorare il sole e la luce e quanta crudeltà c’era nello scivolare tra le pieghe della carne e sentirsi in armonia sempre, senza mai un ripensamento che non fosse una nuova strategia, un’onda nuova che mi portava in cresta a mostrarmi il tuo corpo nudo e acceso. Un giorno ti dirò come e quando mi accorsi del progetto infondato e dell’altra verità, più profonda, di quando mi accorsi che la condivisione non appartiene all’amore e quanto esso sia intimamente, visceralmente nostro. Indivisibile da noi stessi, solitario. Fu uno squarcio nell’orizzonte del mio equilibrio sentimentale e tutto il resto che ne discese fu una rivelazione dolorosa, perché analizzare prima e racchiudere poi in una consapevolezza totale chi sei e come sei non ti aiuta. L’ignoranza vera o presunta aiuta a vivere e a morire con sublime leggerezza. Non altro. Col tempo navigai sempre più lontano dalla costa fino a distinguere con sorpresa che c’era una sola cosa ad attrarmi del sesso: l’ossessione del desiderio. Ho imparato quindi a cercare e a trattenere il desiderio, a riconoscerlo quando l’ho addosso. Ma dura così poco: mi abbandona facilmente e mi lascia vuoto ad osservare gli altri agitarsi per comunicarmi il loro struggimento. Ma io non li sento, sono gusci vuoti, sprecano il loro tempo e non riescono a parlarmi. Cosa pensi sia la solitudine? E’ questa attesa fra uno sprazzo e l’altro, fra un errore e l’altro. Non è vero che sia il solo, l’unico sistema di confrontarsi col desiderio sessuale, ci sono persone che scelgono più o meno deliberatamente di amare sempre sé stessi in molte donne o uomini, di consumare compulsivamente il rapporto fisico , di mettere l’ennesima tacca sulla canna del fucile. 
Io attendo che il desiderio mi appartenga altrimenti è inutile, non voglio partecipare all’amore come ad un evento mirabolante in cui compari per dovere d’esistere. Scelgo con un’attenzione estrema e sottile perché lo so bene che chi seduce in fondo perde spazio e diventa prigioniero di sé stesso… e nonostante tutto mi annoio. Ho imparato da ragazzo a percepire l’artefatto, la malizia ed ho conosciuto un sentimento mondato da questi orpelli solo due volte nella mia vita. Me li tengo stretti al corpo quegli odori e quei momenti quando la seduzione si svolgeva in un canto libero e senza necessità di presentarsi in un modo piuttosto che in un altro. Non mi è restato altro, non vedo altro. Non avrò altro.

venerdì 12 maggio 2017

DEMONI A ORTIGIA

APRIRSI 
Quando esci dal portone sei una lama di colore rosso: ti guardo con la consapevolezza della prima volta; vorrei rallentare i tuoi movimenti però mi sei già davanti e io vorrei allontanarti un po’ da me per guardarti meglio a figura intera. Tu mi aliti un ciao a 2 millimetri dalle labbra…ti prendo le braccia e porto il tuo seno a un attimo dal perdersi contro il mio. Andiamo via da qui, lontano dai due gusci vuoti che siamo l’uno senza l’altro.
Perché ridi ? Oggi parleremo in modo assolutamente consono a ciò che siamo. Hai paura ? No, ridi, sei un’onda di piacere puro, non c’è nessun’altra sensazione che possa inficiare il senso di questo giorno.

Luce a picco fra le palme ad anfiteatro, luce ovunque e mare: una danza di azzurri e le tue gambe a dettare il ritmo delle onde. Ti ho mai detto che hai le caviglie più musicali che abbia mai visto ? Ti volti di scatto e mi butti in faccia i tuoi occhi. -Basta, Enzo, guardami bene, sono una vecchia signora – mi prendi la mano – tocca il mio seno, guarda da vicino la mia pelle, sfiorami i capelli. Sono una donna anziana e tu un vecchio e impenitente libertino.
Io non bado alle lacrime che ora puliscono i tuoi occhi, mi avvicino fino a bruciare la mia anima dentro le mille pagliuzze delle tue iridi e ti bacio facendo sbattere i denti contro i tuoi. E abbiamo di nuovo 16 anni e dell’amore non sappiamo nulla e il sesso è l’unica cosa che vogliamo, l’unica che riusciamo a capire. Siamo tornati le rollingstones pericolose dell’altro ieri e mi metto a singhiozzare senza freni, senza tempo, senza pietà…voglio le altre tue labbra e disintegrarmi dentro il tuo utero. Che la notte rovini su questo giorno luminoso e aperto. Ci siamo amati di più lungo questo periplo marino che in mille giorni di coiti sfrenati, ci siamo sfiorati le vite per gridare che non potrà mai più esserci una prossima volta. E anche questa è una menzogna: la volta è una sola, apparecchiamo il desco a questo miracolo, parlami delle tue poesie e delle tue paure, delle nostre canzoni e di quel giorno sotto la pioggia quando ti dissi – I tuoi capelli sono almeno la metà dei motivi per cui ti amo-
Piove sempre ma è bellissimo quando butti indietro la testa e ti lasci baciare il collo senza pudore, tra un po’ uscirà il sole su questa antica città e ci fulminerà qui, davanti alla fonte Aretusa come due amanti pietrificati dallo sguardo di una Medusa invidiosa. Siamo osservati da decine di persone, giro turistico con spettacolo fuori programma: assistere ad una fiction vera… Andiamo via amore mio, andiamo a indossare nuovamente i gusci lasciati al parcheggio sotto casa. Non siamo noi è il mondo che si agita per la nostra assenza, adesso abbiamo riempito il vuoto ma lui ci aspetta negli altri amori, quelli riusciti male, non amati, sciupati. Non siamo noi, troppo leggeri e perfetti per far vela al vento che sale dal mare. Non siamo noi, la nostra ombra si aggira ancora qua mentre andiamo via.

SCRUTARE IL TEMPO 
E’ una tersa mattina di fine estate che si è fatta attendere a lungo, capricciosa e vanesia, come una star ad un ricevimento in suo onore prima di comparire davanti ai suoi ammiratori. Però ora ogni cosa è al suo posto, perfetta. Non attendo te occhi azzurri, attendo il passato. Quel passato che mi appartiene più d’ogni altra cosa perché possiede ancora una carica vitale profonda, un desiderio non sedato. Il sole, tiepido quanto basta, mi scalda il viso: ho voglia di caffè e placida tenerezza. E’ bellissimo muoversi mollemente con gesti risaputi e familiari: una solare intimità dei luoghi che si riflette dentro il mio spirito. Galleggio con naturalezza… per il principio d’Archimede evidentemente possiedo un peso specifico inferiore ai pensieri nei quali sono immerso. Lo stare bene assoluto.
Quanta della mia passione cammina ancora da queste parti?
Ho proiettato me stesso sul selciato del Passeggio Adorno e l’immagine è arrivata sino alle acque del Porto Grande, i miei occhi sono ancora fissati su un mattino di molti anni fa, quando tutto era ancora di là da venire…così una parte di me si è irrimediabilmente persa tra questi vicoli. Giro intorno lo sguardo verso il Plemmirio punteggiato di case per ricordarne una, situata un po’ più in là, sul deserto di pietre aspre del Capo con il faro. La casa c’è ancora, occhi azzurri, ma non ci appartiene più perché, violentata dagli anni, non sente le nostre voci né quelle degli amici di allora. Adesso solo il vento salmastro del mare l’accarezza, col sentimento un po’ esclusivo di chi non ammette altre condivisioni affettive se non quelle del mirto e degli olivastri selvatici. E già lo sappiamo entrambi che non c’è bontà nell’amore, che non c’è pace, oppure siamo noi che non abbiamo trovato altre vie alternative ad un principio assoluto e beffardo che ci insulta ogni giorno. Da questa ringhiera placida e sonnolenta il mare e il vento mi fanno da anfitrioni, pronti a sorreggermi con garbo in una giornata difficile dentro la quale mi son voluto adagiare con voluttà e senza speranze. Ho lasciato l’auto e scendo lentamente verso la marina, c’è solo il rumore dei miei passi e il tenue sciabordio dell’onda breve che la brezza leggera spinge su questo baluardo della Fonte Aretusa.

Tornare qui in assenza di te, nell’amnesia di ogni pensiero precedente a questo…eppure vederti ad ogni passo, sei un tutt’uno con questi palazzi che si specchiano luminosi sull’acqua immobile della rada. Ti somigliano allo stesso modo queste strade con i piccoli portoni segreti, aperti su antichi silenzi e la passeggiata dignitosa con gli alberi curati che guarda l’altra riva un po’ confusa nella caligine estiva.
-Enzo, per favore non baciarmi…
-Non lo farò ma lasciati guardare.
E’ accaduto qui e io non ho alternative: preferisco elidere tutto ciò che è incongruo, stonato e difforme dall’immagine che conservo nella testa. Così, lentamente la fonte rivive, si riappropria dei suoi colori e dei suoi rumori: non più anatre starnazzanti, solo il fruscio dell’acqua dolce che scivola piano nel mare. Nessuna parete, nessuna ringhiera a far da confine. Solo il senso di un tempo immemore, sospeso come il miracolo della vita, dell’acqua, della frescura. Io sono abbastanza sciocco da credere ai miraggi, da perdere la mia identità in questo gioco astruso; sto qui ad aspettarti per un ultimo appuntamento a cui tu non verrai. Io dovevo esserci perché, nonostante tutto, m’illudo che per certe cose non possa esserci una fine. E’ in questo modo che i luoghi e gli oggetti costruiti dall’uomo ti legano il cuore: assorbendo le tue emozioni e le parole pronunciate in loro presenza. Cammini lungo una strada, svolti un angolo, ti siedi su una panchina, guardi l’ingresso di un giardino pubblico…ogni luogo ti ricorda qualcosa o qualcuno, anzi diventa quella cosa o quella persona.
– Mi piace parlare con te. Mi è sempre piaciuto
– E’ lo stesso per me , ma se io ti chiedessi ora , qui, se c’è mai stato un momento in cui mi hai amato ? Sii sincera, per favore- Un breve silenzio, come se ti raccogliessi in te stessa.
-Sì certo, in molte cose ti ho amato. Posso dire di averti amato. Ma io non voglio stare con te, non posso stare con te, rovineremmo tutto.
Dieci anni fa inghiottii il rospo: che fosse tanto indigesto lo capii solo all’atto della deglutizione, ma lo inghiottii lo stesso. Mentre ti allontanavi pensai che era un atto , un momento della nostra vita, che avremmo avuto altre occasioni. Eri assolutamente bella, assolutamente lontana, assolutamente sola; totalmente tua. Il demone era ancora vivo. Allontanandoti lui cresceva a dismisura, si dispiegava in tutta la sua infernale grazia e il tempo trascorso è, banalmente, il mio esercizio di riparazione, una lucida considerazione affinché io capisca di essere stato sempre una strada parallela alla tua, vicina a sufficienza da poterci guardare dentro ma non da camminarci assieme. Oggi il sole è chiaro, un’armonia perfetta che monda il paesaggio da ogni imperfezione e io sono un uomo fortunato, non allegro né soddisfatto, ma cosciente della sua vita questo sì. Non è poco. L’unico rimprovero che mi faccio è che dovrei stare più attento quando dico o penso certe cose: i mai, i per sempre non sono materiale da maneggiare con disinvoltura alla mia età. Si tratta di frutti proibiti. Per me sono stati l’anticamera dell’impotenza, monoliti eretti nelle praterie della mia vita. Per quanto mi sia allontanato, nonostante l’infinità di stagioni trascorse, infine mi ritrovo sempre di fronte ad essi: o sono la verità assoluta o il vicolo cieco in cui mi sono cacciato da ragazzo, e il demone ride.

DARE AL TRAMONTO IL TEMPO CHE GLI SPETTA 
Non ti bacerò più occhi azzurri, il pericolo è scongiurato; ascolteremo la musica a basso volume come piaceva a te vent’anni fa. Ti racconterò per l’ultima volta sottovoce la storia comune di quelli che, impauriti da certi sentimenti, li precludono al proprio spirito e, a forza di camminare ogni giorno nella polvere delle piccole miserie, dei sorrisi ipocriti e delle carezze interessate, hanno visto sparire dai loro orizzonti la gioia di un’emozione vera.
Fammi dire, non parlo di te, non obbligatoriamente, non solo di te: ho lasciato sparsi in giro per l’Italia e la Sicilia molti brandelli di me: qui come a Palermo o Milano o Trapani, essi hanno fatto il nido e sono prosperati. Adesso mi stanno davanti per un ultimo commiato. La lealtà non esiste. E’un surrogato delle menzogne che ci raccontiamo ogni giorno e te lo dico a capo chino. Poi alzo gli occhi e li fisso nei tuoi. Sei sincera, assolutamente sincera: il fatto è che siamo arrivati in ritardo anche per lasciarci. – E’ vero, sai essere leale e ti odio. Adesso avrò bisogno di un po’ di tempo, devo trovare un equilibrio nuovo – Dovrei dirti questo ed invece ti bacio e nulla si può dire di più perché non è una storia d’amore. E’ una storia e basta.

Di tempo n’è trascorso a sufficienza. Io non sono guarito perché non sono mai stato malato; l’ho capito qualche secondo fa guardando il mare. Sciocchi come me si nasce e ci si rafforza crescendo, è una modulazione diversa dell’anima, un’indole elastica che, piegata ad altri fini, torna naturalmente su se stessa. Non me ne sono accorto: un piccolo drappello di turisti è arrivato da queste parti. La fonte è di nuovo un fenomeno da baraccone, troppe fotocamere, troppi gelati, troppi calzoni corti e sandali di cuoio. Nemmeno qui c’è più spazio per me, la misantropia mi spinge a cercare un altro rifugio. In fondo basta svoltare al primo angolo nella prima stradina per ritrovarsi solo.
– Spesso mi sento sola, sai. Con nessuno mi riesce di parlare come faccio con te, se ti parlo si sciolgono i nodi, quasi tutti- E sorridi mentre le tue parole m’inseguono ovunque: in un modo o nell’altro sei venuta all’appuntamento.
– Quando ero bambina non uccidevo nemmeno le formiche…
– Ormai è tardi per pensare ad un figlio
– Se avessimo messo al mondo una creatura, sarebbe stata femmina. Una bellissima bambina…una bambina…
Sono sbucato da un’altra parte, in vista del Castello Maniace, qui di turisti neanche l’ombra. Poggio le spalle contro un muro e giro lo sguardo intorno lungo tutta la marina piena di sole: non sto male anzi mi ha preso una sottile e dolcissima euforia. Nella memoria si è acceso un altro lungomare, opposto e uguale a questo, un’altra acqua fatta di sale e di mulini a vento. Là c’è un paese bianco sotto il monte che guarda lontano le Egadi: un’illusione d’azzurro. Là vagabonda ancora, stordita, la mia fiducia nella vita e nell’amore. Mi fa una tenerezza infinita, ha i capelli bianchi come i miei ed è ancora molto bella. Sono prigioniero di me stesso, mentre l’accarezzo con gli occhi, lei continua nel suo incedere lento e leggero, io la guardo mentre si allontana sempre più…potrei perderla per sempre o per sempre rimpiangere di non averla fermata, di non averle detto che non mi è costata fatica rincorrerla fino a dimenticarmi di me.
– Aspetta! E’ questo il luogo e il momento, non ce ne saranno mai altri, fermati!
Lei si volta… e non c’è più nulla fra la mia idea e il sogno, nemmeno questi veli che stanno scivolando sui suoi fianchi. Sei tu! Proprio tu! E’ questo dunque ciò che si prova davanti ad un fantasma: non è uno stare bene o male, è una marea di sensazioni e di parole quella che mi travolge. Anni d’idee e di sogni trattenuti a stento stanno qui, sul ciglio di questa baia, in bilico tra la sorpresa e il rammarico di non saper fermare per sempre tutto questo. Immobile non so che fare. E’ la stessa sensazione di trent’anni fa ed io non credevo che potesse raggiungermi ancora, eppure è accaduto. Perché sei venuta? Perché ora? Vuoi stabilire, in modo definitivo, una priorità, un possesso che t’appartiene? Te lo domandai chiaramente, ed era inverno – Ma tu mi ami?- – Non lo so…-
Eri pallida, quasi rassegnata e mi guardasti andar via. Guarda ora, principessa, che magnifico palcoscenico c’è toccato stamattina. Io non ho più alcuna malinconia da raccontarti, nessun bacio da chiederti che tu non mi abbia già dato. Credevo d’esser arrivato fin qui per un commiato finale all’altra metà del mondo, mi ero già scritto il discorso senza considerare la disponibilità dell’uditorio. Ma adesso che siete ferme, intorno a me, e mi osservate attente, donne, bambine, ragazze di un tempo, madri di oggi, fidanzate e amanti, appassionate o disilluse, abbandonate o perse, non mi lascerò sfuggire l’occasione. Ho molte cose da dirvi…non riuscirò a dirvene compiutamente nessuna! Spero che, per intuito, capirete ugualmente, se così non fosse non ditemelo, vi prego, lasciatemi l’illusione che ci siamo compresi. Mi aiuterete ad andare lontano.
Il sole è salito quasi allo zenit e questa terra è trasfigurata dal caldo. Ho le mani pulite finalmente e completamente vuote, come le strade d’Ortigia a quest’ora. Forse oggi che l’armonia ci possiede potreste seguirmi, almeno una volta, sul filo della vita che ci corre incontro. – Non baciarmi- – Ti amo. -Non voglio, non posso, stare con te. – Lasciami in pace! – In qualche modo ti ho amato, sì ti ho amato. – Non lo so. – Buonanotte mio sogno proibito. – Mi piace parlare con te, mi è sempre piaciuto.


Guardate, le parole trascolorano: è rimasto il vostro sorriso, una pausa breve prima dell’ultimo salto. Ora tocca a voi: conquistate almeno una volta la mia solitudine. La luna liquida e le stelle fitte nel nero della notte ansiosa sono storie passate, parole vuote, di plastica, ma il silenzio del cuore nei giorni in cui il riso c’era compagno spietato e beffardo è un racconto molto vicino. Vi prenderò, un giorno, in una prossima vita, in una città diversa, dietro un altro angolo; nella danza che avete lungamente negato sarete travolte anche voi. Non potrò riderne e non vi darò il veleno acuto che ha gonfiato i miei giorni. L’orologio sta girando in fretta, troppo in fretta, non è più il momento di stupide ripicche. Le ombre si stanno allungando, io con esse e finalmente non è più tempo di demoni, né di angeli. 
Fra poco sarà la fine del giorno e io voglio che la sera mi trovi ancora una volta, come sempre: aggrappato al cielo.

sabato 6 maggio 2017

MILLE E NON PIU' DI MILLE

Voi vedete, scrivo d’amore, di Sud, di vita di emozioni: sono un sognatore Voilà. 
Tutto il web è pieno di amore, poesia, fotografia ma anche di ideologia con una spruzzata di pepe politico certo. L’Italia, la Patria, l’Europa e poi appresso la globalizzazione, la crisi i sogni interrotti. A volte lo sgomento. Voi leggete scrivo di cose a volte che, come dire, proprio non interessano a nessuno: sono vecchio e ragiono come se il tempo, tutto questo tempo, non fosse passato. Scrivo con in bocca il sapore amaro dell’inutilità perchè di certe cose di certi drammi odierni le radici affondano lontane nel passato. Nessuno vuole leggere del passato, che ce ne frega del passato. Dobbiamo guardare al futuro e non possiamo perdere tempo ad analizzare i minuetti di un secolo fa. Siamo seri miei cari blogger, la situazione è perfettamente delineata siamo in rotta di collisione col fondo del barile, il sud ha finito di rompere i maroni e l’informatica forse non ci salverà. Meglio scrivere di esistenza, amore, indecisione, libertà. sesso talvolta. Meglio! 
Voi leggete che abitate in una Repubblica ( mah ) e che prima c’era il Fascismo (sì) e una monarchia (certo) poi la Liberazione, il Boom, gli anni di piombo e siamo qui. Qui messi male però. Ogni volta che sento puzza di bruciato voglio vedere dov’è l’incendio e come si è sviluppato voi forse no, forse…Non potrai mai capire il paese in cui sei nato se non ne conosci la storia, quella vera però e magari lontana. Che dite? Vi interessa leggere dell’inizio, dei mille di Garibaldi vi interessa anche se abitate lontano da Quarto e magari siete cittadini di qualche operosa città del nord o del centro- Non ve ne frega una beneamata? Strano perchè dovrebbe, perchè abitate in una Repubblica ( Mah) che ha dei confini ( sì) e anche una Costituzione ( ma va?) e che abitate in un condominio sorto nel maggio del 1860 ( il cantiere però , le case le hanno tirate su dopo). Questo condominio fa acqua ( è il caso di dirlo) da tutte le parti! Daccordo, parliamo d’amore. 
Non dire, non raccontare, in un contesto di ignavia culturale e scarso interesse per la lettura fa sì che il fatto non sussista, e la storia cambi! Un fatto storico non raccontato non è meno grave di uno travisato, nel secondo caso almeno esiste un punto di riferimento sul quale approfondire e discutere opzioni diverse. Nel primo c’è solo un vuoto da riempire che spesso resta tale. Cosa non si è detto della spedizione dei Mille del 1860? Sembrerebbe nulla. Esiste una storiografia (che sarebbe meglio definire “agiografia di comodo”) immensa su questo fatto che segna l’inizio del processo unitario italiano; una storiografia piena di aneddoti e atti di eroismo, di luoghi e di date, una marcia trionfale da Quarto a Teano. Eppure c’è un’altra storia, nascosta, talmente obsoleta da non esistere quasi più: se un fatto non viene raccontato esso muore e a distanza di decenni non resuscita in modo attivo, tuttalpiù vegeta come un moribondo tra le righe di esperti che sono di fatto fuori dal mondo. Nell’ambito di queste storie sepolte e di personaggi a metà la figura di Ippolito Nievo ha una sua precisa importanza. Durante i pochi giorni di navigazione da Quarto alla Sicilia fu deciso di affidare a Nievo un compito fondamentale, quello di vice intendente della spedizione. Ciò significava avere un compito di alta responsabilità nella gestione finanziaria e amministrativa dei Mille e del futuro Esercito Meridionale: in soldoni Ippolito Nievo diventò il contabile della spedizione. Quando l’ondata delle camicie rosse attraversò lo stretto e iniziò a risalire la penisola Nievo rimase a Palermo: non sarebbe la prima volta che un continentale avendo una discreta disponibilità finanziaria decida di restare tra il mare e i gelsomini del sud. Ma il vecchio incarico avuto e i documenti che ne attestavano ogni particolare erano materiale che scottava; l’anno dopo la spedizione, a unità ormai conclamata sotto la corona dei Savoia, le dicerie, le illazioni e soprattutto i sospetti su alcune vicende contemporanee alla spedizione, erano diventati una marea montante. Su tali questioni tra l’altro si giocava una vecchia e mai risolta disputa tra le due fazioni opposte dei garibaldini patrioti ante litteram e i sostenitori delle pratiche mediatrici di Cavour. Non ultime c’erano anche le rimostranze sempre più evidenti di molte alte cariche militari del defunto esercito borbonico le quali continuavano a reclamare il soldo pattuito per la loro, chiamiamola, collaborazione! Un situazione difficilmente digeribile: in una delle prime sedute del neonato regio Parlamento unitario svoltosi a Palazzo Carignano a Torino, una buona parte di tali spinose controversie erano già venute fuori. Garibaldi con i suoi in tenuta quasi da combattimento era entrato in aula e nel suo intervento aveva manifestato la delusione per molte iniziative che avevano preceduto la spedizione e l’avevano poi seguita. Sul tavolo c’era una soluzione da trovare per i combattenti in camicia rossa e per quelli numerosissimi appartenenti ai quadri dell’ ex esercito borbonico. La rivalità antica tra il Conte e l’Eroe dei due mondi venne fuori in modo palese con insulti e recriminazioni poco velate: la sistemazione delle carriere del nuovo esercito unitario non era cosa da poco e sarebbe costata molto. Come vedete fin dai primordi una certa atmosfera da condominio allargato con feroci dispute “locali” e senza alcuna visione generale dei problemi era presente fin sul nascere dei parlamenti italiani. La domanda più grave e più importante però venne qualche tempo dopo quando alcuni deputati (molti di loro meridionali) si chiesero facendo quattro conti che fine avesse fatto l’immenso patrimonio del Regno delle due Sicilie, dove e come fosse stato depositato e quanto di esso utilizzato nell’ambito della nuova gestione di un nuovo paese unito. Il fatto poi che girassero sempre più frequentemente le voci di “strani accordi” con le alte cariche militari borboniche, voci che tendevano a sminuire il valore dell’impresa dei Mille e ridurla a una semplice passeggiata sotto l’occhio vigile di una regia e di attori perfettamente istruiti, tutte queste cose assieme fecero sì che si chiedesse ufficialmente di vedere i conti e i documenti. Gli uni e gli altri riconducevano fatalmente al signor Nievo Ippolito beatamente domiciliato a Palermo: la richiesta ufficiale non poteva in nessun modo essere disattesa. Nievo probabilmente pensò anche che si trattasse di un buon sistema per chiarire e tacitare finalmente i dubbi e le maldicenze che gravavano sempre più minacciose sull’operato dei Mille e di Garibaldi. 
Seguendo tale indirizzo si mise all’opera e redasse un lungo e articolato rendiconto di quei mesi cruciali, probabilmente non si rese conto che all’interno dei documenti che lui custodiva ve ne erano molti a carattere che oggi definiremmo “riservato” se non top secret. Non vi riflettè il Nievo ma ben lo sapeva il console amburghese Hannequin che in Sicilia curava anche gli interessi della corona britannica. Fu costui a sconsigliare a più riprese Nievo ad intraprendere il viaggio. Le mie a questo punto sono solo opinioni, ben supportate però e dicono con chiarezza di alcuni fatti incontrovertibili. 
– L’esercito e la marina Borbonica era forte di migliaia di uomini e mezzi in più rispetto alla “banda “ di Giuseppe Garibaldi. Anche senza quasi combattere per le camicie rosse non c’era alcuna e sottolineo alcuna possibilità di vittoria. 
– L’Inghilterra aveva da tempo grandi interessi economici, commerciali e strategici in Sicilia: era già padrona di Malta ma la Sicilia come fulcro di commerci e controllo del potere nell’area mediterranea era ben altra cosa. Dai primi dell’800 a Palermo, Trapani e Catania una nutrita pattuglia di imprenditori e affaristi anglosassoni avevano stabilito attività commerciali ad ampio raggio e si erano con esse arricchiti. 
– Lo sbarco a Marsala dei due battelli che trasportavano i Mille di fatto avvenne sotto la protezione di una nave da guerra di sua maestà britannica; fu inglese il primo commerciante a dare il benvenuto a Garibaldi e ai suoi. 
– La battaglia di Calatafimi ( quella dell’epica frase – Nino qui si fa l’Italia o si muore) fu una farsa: nel momento culminante quando per ovvi motivi di strategia e territorio i mille stavano per soccombere, il comandante delle truppe borboniche fece suonare la ritirata! 
– La presa di Palermo seguì in pratica la stessa via: circa ventimila soldati borbonici si attestarono nella fortezza del Castello a mare lasciando la città in mano ai Garibaldini. Il generale comandante la guarnigione chiese lumi( ?!) a Napoli, dopo un paio di giorni, con la mediazione della marina inglese che stazionava alla fonda davanti al porto di Palermo, i Borboni firmarono una tregua a bordo di un battello da guerra britannico. In pratica abbandonarono il campo con l’unica richiesta (accettata) dell’onore delle armi! Migliaia di soldati di un esercito regolare sfilarono davanti alle baionette dei mille che non credevano ai loro occhi mentre i quadri militari borbonici tesi e altrettanto increduli si chiedevano perché. 
La mia opinione è che nella impresa dei mille di eroico e di militare vi sia stato ben poco: l’esercito borbonico nelle sue figure di comando tradì per denaro la sua bandiera. Il denaro era Piemontese e inglese. Di tutto questo vi erano tracce chiare nei documenti che Ippolito Nievo doveva portare in continente. Era questo il motivo dei consigli criptici del console Hannequin, egli sapeva e conosceva anche quale sarebbe stato il destino del patriota italiano incaricato di far luce su questa vicenda. Nievo si imbarcò la sera del 4 marzo del 1861 sul vapore Ercole con rotta per Napoli, circa 10 ore di navigazione. Naturalmente non arrivò mai a destinazione, il piroscafo si inabissò senza alcun superstite all’entrata del golfo napoletano. Tutti morti e il carico dei documenti in fondo al Tirreno per sempre! Dentro la cassa sigillata che Nievo doveva portare a Torino c’erano le prove documentate della pesante ingerenza del governo di Londra nella caduta del Regno delle due Sicilie. Vi era scritto come l’intendente aveva gestito un patrimonio in piastre d’oro turche fornite dagli inglesi con i quali erano stati pagati molti alti ufficiali del Re di Napoli; vi era scritto anche a quanto ammontava il tesoro in lingotti d’oro conservato nei forzieri del Banco reale di Palermo e del quale non vi era più traccia. Vi erano probabilmente scritti i nomi dei collaboratori, mediatori, politici e maneggini che avevano permesso il miracolo con cui mille uomini conquistarono il regno più vasto e ricco della penisola e lo regalarono ad una delle più piccole e micragnose monarchie d’Europa. Questo fu l’inizio della nostra Italia Unita, quello che non compare in nessun libro di scuola ( ci mancherebbe) e di cui nessuno ha mai fatto cenno nei soliti discorsi ufficiali del tricolore che sventola sul Quirinale. Questa è solo la prima parte ma se il buon giorno si vede dal mattino…
Decine di fatti e di personaggi, una Italia e un Meridione del tutto diversi dalla facciata di comodo, una quantità di punti oscuri da decifrare…… ma io scrivo d’amore e di vita, di musica e della mia generazione che fu proiettata in un futuro che non era questo, credemmo più o meno in un destino nuovo e in mondo nuovo. I localismi da cui provenivamo non avevano credito in quegli anni, sembrarono morti e sepolti: usammo la nostra giovinezza credendo che glissare sull’evidenza fosse farci un piacere. Poi in alcuni di noi si è fatta strada una musica diversa, più antica, ha messo in secondo piano il rock ‘ roll e si è fatta viva di nuovo la taranta. Continuerò a scrivere d’amore

lunedì 1 maggio 2017

LA LUCE CHE CAMBIA

Sarà per la luce che cambia, sarà che il telefono ti rompe solo le scatole, sarà che non basta più la musica, la tv. Sarà che nella mia stanza ci sono troppe eco, troppi silenzi . Sarà per tante cose che forse vorrei staccarmi di dosso, o che vorrei appiccicate sulla pelle, come cera per arrotondare gli spigoli. Per ammorbidire lo sguardo. Sarà per tutte queste cose assieme ma io scrivo per avere la sensazione d’esser vivo, faccio così da quando ero un ragazzino: scrivo per chiarirmi le idee…e amare di più. Ci sono due cose che mi aprono la mente, una penna e il mare, la prima è nella mia mano adesso, l’altro credo di averlo ficcato da sempre nella parte più profonda di me. Scrivere è per me un affrancarmi dall’ ignoranza non una liberazione, anzi…Spesso la rivelazione dell’acqua che mi scorre dentro dà spazio ad interrogativi angosciosi; e tuttavia scrivere mi riesce naturale…quasi come lo stare solo sulla cattedra durante i temi d’italiano ai tempi della scuola: 
- Lei si metta qui che tanto lo sappiamo bene che ha una penna prolifica e generosa - 
diceva così ogni volta la prof. Negri con la sua faccia di culo cartonato e grinzoso. 
-Le do nove, d’altronde non si è mai visto un voto più alto in questo liceo…ammesso sia tutta farina del suo sacco- 
Di ogni dono o capacità imparai allora a considerare anche le controindicazioni: comunicare bene, meglio di altri e essere condannato a una solitudine quasi perfetta. Mi domando se anche i miei amici , e compagni di allora, dopo, nel divenire della loro vita, siano mai stati soli su una cattedra a guardare gli altri sguazzare felici nella loro normalità. E’ questo il motivo che sempre più spesso dissangua la mia volontà di esserci: cosa faccio, cosa chiarisco, cosa cambio o miglioro? Scrivo, sì scrivo, scrivo e basta: sono ciò che scrivo, solo quello. Non ho altre pretese, fini secondari, libri da pubblicare, donne da conquistare. In fondo sono ancora nell’aula della seconda B, seduto alla cattedra che sbircio gli altri mentre io ho già finito. Quando il senso di vuoto e d’inutilità diventa insopportabile, quando giro a vuoto come in queste ultime settimane, allora decido di andare al mare, anche se il mare è sempre lì tutto l’anno. Ma adesso che l’autunno è arrivato appare diverso, come se volesse scuotermi da questa ruggine che infetta lo scorrere del tempo e mi immobilizza ed io mi sento toccato, affascinato dalla sua libertà e dalla sua sfacciata indecenza, ho quasi una sensazione di rabbia e d’invidia. Vorrei seguirlo, cambiare natura e invece resto lì, in bilico, sospeso e perduto da quel fluire senza direzioni e la mia inquietudine si addensa.
La vita è fatta di tante piccole finzioni, piccoli inganni. La vita è un gioco d’illusionismo. Un gioco d’ombre che si stagliano gigantesche su uno sconfinato muro bianco. Capita che tu non te ne accorga ma intanto qualcuno ha cambiato l’angolazione delle luci. Cambia la regia. Il trucco si svela. La verità si confonde. La scenografia resta sempre immensa, tu scopri di essere quello che sei, un minuscolo attore che balbetta la sua parte. Forse la vita è questo, mi dico. È rimanere nei ruoli, rimanerne prigionieri e imbrogliare le stagioni con una infinita primavera. E io che scrivo ancora su un blog, a che serve un blog? E’ un diario, un palcoscenico? A che serve? A volte serve a capire, ma solo a volte.

PS: Sono passati molti anni, sette per l'esattezza ma il fastidio del dubbio e di quanto successe in rete nel 2010 e di ciò che ha provocato in me non è scomparso. Non lo dico per darmi soddisfazione, non mi importa di tale ridicolo sfizio, lo dico per onestà. Qualunque sia la qualità del mio scrivere non ho mai avuto bisogno di aiuti e scopiazzature. Io scrivo di mio. Può accadere che legga qualcosa che mi colpisca veramente come nel caso del testo linkato e può capitare, come in questo caso, che io parta da 90 parole per costruirvene sopra più di un migliaio mie.
 Dedicato a Lisa Sammarco, Antonella Salera & Co