sabato 28 gennaio 2017

La memoria e l'oblio

Di cosa possiamo aver memoria? In genere, se non colpiti da demenza senile, di ciò che abbiamo vissuto in prima persona. Naturalmente non può bastare ma per millenni e in alcune popolazioni del pianeta è bastato e continua a bastare. 
Se non abbiamo esperienza diretta e personale l’unica via che possiamo percorrere per capire il mondo in cui viviamo è lo studio della Storia attraverso le scritture e le testimonianze altrui perchè se non si scrive di un fatto c’è il fondato rischio che il fatto semplicemente non esista. La tragedia dell’olocausto è diventata tale dopo la fine della seconda guerra mondiale quando nell’aprile del 1945 le truppe russe e angloamericane cominciarono a varcare i cancelli dei campi di concentramento nazisti e, appresso ad esse, entrarono anche fotografi e cine operatori. Il giorno della memoria inizia ufficialmente lì. Ma è sbagliato è una menzogna, un comodo alibi. I fatti erano precedenti e non vi era bisogno di alcuna memoria, solo di normale consapevolezza. I ragazzi tedeschi che oggi hanno 18-20 anni sono i figli di coloro che avevano la stessa età 5-6-7 anni dopo la caduta del nazismo. I padri di questi ultimi a loro volta erano nati da coiti avvenuti presumibilmente da coppie che negli anni trenta avevano raggiunto la maturità sessuale. Solo quella? Dove erano i nonni e le nonne della signora Merkel& co  all’epoca delle elezioni federali tedesche del luglio 1932? Vi parteciparono? Presumo che da bravi e disciplinati tedeschi lo fecero. Nessuno di essi è responsabile dell’aver fatto diventare i nazisti la seconda forza del Parlamento (Reichstag)? 
Io chiedo ai tedeschi di oggi di informarsi finalmente, di ricercare nelle pieghe della loro memoria dove fosse il loro seme Il 30 gennaio 1933 quando il presidente Paul von Hindenburg nominò Adolf Hitler Cancelliere della Germania. Le stesse domande dovrebbe porle l’Europa intera anche a noi che siamo usciti dal Fascismo e non sono quesiti da poco, dovrebbero bruciarci la pelle e farci chinare la testa. I nonni dei burocrati tedeschi, dei cittadini tedeschi, i padri che dopo il disastro bellico da essi provocato, ricostruirono in tempi record il loro paese, gli uomini che hanno fatto della Germania un pilastro ( anzi IL pilastro) della nuova Europa…tutti i 20 milioni circa di tedeschi che la notte del 27 febbraio 1933 videro bruciare il Palazzo del Reichstag o ne ebbero sicuramente notizia i giorni dopo, che seppero delle accuse contro Marinus van der Lubbe e dei fatti immediatamente conseguenti. I tedeschi che si trovarono sulle spalle il Decreto dell’incendio del Reichstag e le successive eliminazioni dei diritti democratici e civili da cui fisiologicamente scaturì nel marzo 1933, il Decreto con cui il Reichstag conferì poteri dittatoriali al cancelliere Adolf Hitler, dov’erano? Che facevano? Per chi votarono? La shoah anzi la soluzione finale della questione ebraica (EndlösungderJudenfrage) iniziò lì, in quel periodo fino ad arrivare alla trionfalistica ufficializzazione congressuale della Conferenza di Wannsee del 1942. Io ripeto la domanda che tutti dovremmo fare: dov’erano i tedeschi allora? 
Ogni cittadino tedesco negli anni tra il 1933 e il 1939 aveva almeno un paio di vicini ebrei, la lattaia, il calzolaio, il commerciante di frutta e verdura, il professore di scuola, lo scienziato, la casalinga, il compagno/a di scuola, la cameriera, il cuoco/a, il manovratore del tram, la prostituta e i suoi frequentatori…………… Tutto un mondo civile accanto al proprio, ed io ripeto la domanda: signori, quando in breve tempo avete visto scomparire questi cittadini che vi vivevano accanto, possibile che non vi siate posti nessun interrogativo? E’ mai possibile? Come è possibile! In quegli anni non avete mai visto stazionare nelle vostre stazioni un treno strano, blindato? Mai una voce, un gemito…mai un dubbio? Non avete mai osservato da lontano una zona come quella di Dachau? E nessuna domanda vi è sorta spontanea? Nessuno dei vostri parenti militari o altro vi disse mai, magari di nascosto, che… Il mio giorno della memoria è un atto di accusa contro tutti coloro che pensarono e oggi ancora pensano di non essere coinvolti, di non avere e non aver avuto responsabilità perchè  non c’erano. Non è vero! Voi c’eravate perchè c’erano i vostri padri e i padri dei vostri padri; sulla eliminazione delle vostre coscienze pavide è stato costruito il vostro benessere quello stesso che oggi ci sbattete in faccia con il tono dei professori cui dare conto dei nostri compiti. Conto di che? A chi? L’Europa dopo il massacro della guerra avrebbe dovuto tenervi in quarantena per un secolo. I vostri padri, i vostri docenti avrebbero dovuto mettervi sotto il naso per decenni le foto orribili che i primi reporter scattarono entrando ad Auschwitz, Chełmno, Bełżec, Sobibóretc etc. Chissà se fin da allora avreste avuto la stessa arroganza etica di dire – ma noi che cosa centriamo? Perchè il problema vero di un giorno come questo non è quello di aver memoria, ricordare, ma di capire e avere la forza etica di dire, mettendosi la testa fra le mani, Dio mio cosa abbiamo fatto! Ed espiare a lungo senza dare lezioni a nessuno, tantomeno di economia politica e ordine sociale. Non v’è memoria senza conoscenza e non può esserci sapere senza analisi, vale anche per noi italiani e per la nostra storia stuprata senza pietà per convenienza politica. Senza lo studio di quelli che furono le premesse ideologiche della superiorità della razza, senza la conoscenza della storia tra il 1919 e il 1945 in Europa non ha senso nessun giorno della memoria. Esiste un’etica profonda e generale che l’umanità sconfessa con vergognosa noncuranza, un termine di confronto che attraversa intere generazioni e che viene rimpallato tra di esse come una pietra incandescente: brucia tra le mani e fa male, meglio dimenticare e dire io non c’ero, io non ne ho colpa. E’ il sistema con il quale, nei decenni posteriori a quello orribile del secondo conflitto mondiale, milioni di esseri umani hanno “ricordato” la Shoah e dimenticato i Gulag, le prigioni dei vietcong, Guantanamo, le carceri cinesi o quelle turche e ad altri innumerevoli campi di concentramento senza svastica. Altro che giornata della memoria, non abbiamo altro che complesse operazioni di cancellazione radicale. Scrissi anni fa un post su questo stesso argomento, fu valutato positivamente ma non diceva nulla! Non serviva a nulla, come a nulla serviranno adesso le manifestazioni e i discorsi ufficiali; quel post è un guscio vuoto. Allo stesso modo lo è questa ridicola comunicazione tra sordi nella blogosfera, mielosa e ideologica ad oltranza e priva soprattutto di conoscenze storiche adeguate. Invece di leggere queste mie sciocchezze più o meno auliche, di complimentarsi più o meno dolorosamente tra noi ( o parte di noi) per la nostra coscienza rivoltata come un calzino per l’occasione, invece di ricordare la memoria, sarebbe più etico perdere un po’ di tempo e leggere …leggere dell’avvento del nazismo, dei suoi epigoni, delle sue basi ideologiche, delle dinamiche che portarono Adolf Hitler da piccolo e furioso politicante a unico profeta del terzo Reich passando attraverso il suo disgustoso MeinKampf. Ma non siete stanchi di gusci vuoti? 
La giornata della memoria si onora studiando con attenzione come l’uomo si può trasformare in un escremento in divisa con buona pace di molti culi puliti e candidi. Non le si fa nessun buon servizio dicendo -orrore, mi dispiace, non accadrà più- Perchè accade, è accaduto sta accadendo e noi siamo coinvolti sempre. E la storia dei culi che bisogna studiare per evitare ulteriori “inconsapevoli” defecazioni. Chiudete i blog e aprite un libro, anzi i libri.

mercoledì 25 gennaio 2017

UN USCIO STRETTO

Potessi descrivere il silenzio pieno di queste ultime settimane, il suo spandersi quieto e imponente sulla mia vita… Non ho rimpianti, quello che ho fatto è la diretta conseguenza del mio modo di essere, non ci sono asimmetrie stavolta: è solo un cammino naturale. Chiedersi se e quando uscirò da questo silenzio è pleonastico oltre che improponibile: io non ho volontà decise in tal senso. Perchè dovrei averle? Se fossi veramente solo tutto sarebbe più facile oltre che più triste ma sono dentro la vita con gli altri uomini, li sento frusciarmi accanto da tutti i lati: non li approvo, non li capisco o li capisco troppo bene, non amo molti di loro per la grande capacità che possiedono di sporcare e immiserire l’ambiente in cui vivono, Blog compresi. Ma il silenzio è divino, ammaliante e puro: un velo strappato davanti ai nostri occhi desiderosi di sapere. La mia vita assomiglia sempre più ad un uscio stretto, un accesso quasi nascosto e impersonale. Oltre quel piccolo varco c’è il mio mondo, lo spazio perenne dentro il quale vive la mia libertà. Bella e splendente come nessuna parola potrà mai dire. E’ la dimensione in cui vorrei restare ed è finora il mio cruccio continuo. Chiudo la porta dietro le mie spalle e di quel benessere resta solo per qualche breve periodo l’eco sempre più lontana. Non posso fare altrimenti: le pagine vivono qui, mi attendono, tornerò un giorno e più nulla mi separerà da esse.

sabato 21 gennaio 2017

POESIA DI UNA RIGA


Poesia di una riga
scorciatoia per un paradiso senza rate
posizione certa del mio vivere incerto.
Mi avvito senza fretta
e sono già dentro il sogno
il cuore dentro e gli occhi fuori
a scrutare il fastidio e la mancanza
le buone maniere
e il mio definitivo commiato.

mercoledì 18 gennaio 2017

NON SO PIU' SCRIVERE- Dedicato a mia madre

Il mio blog è per tutti, nel senso che è aperto a chiunque voglia leggerlo ma in realtà non è a volte neanche mio ma di un altro Enzo che scrive per ricordarsi di esistere mentre bussano alla sua porta raccontandogli cose che con la sua esistenza non c’entrano nulla. C’è una dimensione a parte ormai tra quello che scrivo e quello che si intravede dietro la scrittura….Molti discorsi sono veramente fuori tema ma forse non è colpa di nessuno. E’ estremamente difficile comunicare in modo consono la propria dimensione intellettuale esattamente così come si forma dentro una persona e lo è altrettanto percepirla e “discuterla” laddove tale discussione abbia un senso che vada al di là di un affermazione di esistenza. Niente di ciò attiene al blog normalmente inteso, si avvicina semmai ad un’esperienza da diario cartaceo o addirittura da libro; nessuna di esse vuole sostituirsi nel mio caso a questo blog, qui ed ora. Ho subito un lutto gravissimo e profondo ma chi mi ha lasciato possedeva con naturalezza la misura e la simpatia, nel senso greco della parola, del comunicare e scriverne. Io appartengo ad una generazione più nevrotica e conflittuale che ha mantenuto il fuoco e i suoi effetti devastanti senza avere in cantina buona legna da ardere. Ma non mi rassegno. Mamma, vedi come tutto indifferente scorre? Non sono riuscito a fermare le nostre parole, queste come le altre della nostra vita. I tramonti ad occidente, i libri nella grande libreria di casa, le foto di famiglia e questo vecchio ragazzo che adesso è rimasto solo. Arrivederci mamma. Insegnami a scrivere daccapo con l’allegra pazienza che io mai ho posseduto, sarebbe il miglior modo di spiegare a certi personaggi che si spacciano per il sale culturale del mondo cos’è la vera cultura e come saziare la sete del sapere. Mi dicesti di scrivere molto tempo fa perché sapevi e mi avevi custodito tu. In fondo non ho fatto altro che seguire il tuo desiderio. Era il nostro modo ed anche adesso che le battute cambiano e il ritmo segue un’altra armonia sento che continuare è un buon modo di rispondere alla sua carezza. Farò cosi e lei mi sorridera’… Sorrideva sempre.

domenica 15 gennaio 2017

TI SCRIVO

Ho trascorso una vita a scrivere anche molto prima di incontrarti e tu non mi hai mai letto. Ci siamo avviluppati per un certo numero di anni in una relazione vissuta, gesticolata, agitata dai nostri umori, urlata a muso duro talvolta. Ma mai scritta 
Se ti avessi scritto e tu mi avessi letto avremmo capito prima e meglio, ci saremmo amati sul serio e non ci saremmo sfiniti nell’impotenza di non sapersi parlare. Quando mi fermo e il tempo è meno crudele con me oppure riesco a licenziarlo meglio, tu arrivi sempre e io mi chiedo da dove spunta questa necessità di te cui non vorrei dare significati tali da farti fuggire lontano in modo definitivo. C’è troppo sapore della tua pelle e dei tuoi capelli nella mia testa, troppo suono della tua voce e troppa inguaribile nostalgia dello sguardo che avevi quel pomeriggio lontano. C’è troppa letteratura vera per questo ho deciso di scriverti. 
Ora sei abbastanza lontana per leggermi senza il fastidio di dovermi poi dire, so per certo che mi leggerai stavolta; non per capire ciò che non serve più capire ormai. Mi leggerai per amarmi senza condizioni e senza un tempo definito, senza il fastidioso imperativo di pensarmi diverso, mi leggerai per come eravamo. E sorriderai, certamente penserai che in molte cose non sono cambiato e che le mie sospensioni esistenziali finiranno per corrodermi del tutto: che importa? Nella lettera non c’è alcuna richiesta solo una constatazione amichevole di incidente amoroso in una stagione che fu comunque nostra, non c’è altro che la traccia inconfondibile di un desiderio espresso, realizzato e poi perduto. In quello che ti scrivo c’è solo quiete, i furori sono un vecchio amatissimo film che forse potremmo rivedere assieme ridendone con le mani allacciate. Non ti scrivo per raccontarti della scrittura, lo faccio per dirti che ti ho amato e sei rimasta tra le righe. Conserva la lettera, 
Enzo

venerdì 13 gennaio 2017

S, GIOVANNI LI CUTI

La città preme e assedia con arroganza questo piccolo porticciolo: è un tipo di violenza molto diffuso qui come in altre città dell'isola, alla fine ci fai l’abitudine. Lottare continuamente perché ciò non avvenga diventa un lavorio crudele, qualcosa che può privarti anch’esso di un rapporto normale col tuo ambiente. Un giro vizioso: i miei conterranei si strappano le vesti quando la vita li porta lontano ma coloro che invece ci abitano, o essi stessi quando tornano, fanno di tutto per distruggere, lordare, sfigurare i luoghi rimpianti sino a poche ore prima. E' un'attività nella quale, seppur con meriti e attitudini diverse, quasi tutti si cimentano. Il colpo di grazia in genere è sferrato dal politico di turno e dai suoi accoliti: sono essi ad averci regalato negli ultimi 50 anni lo sfacelo che ci circonda, il barocco sfondato o il liberty stuprato, una carneficina diffusa e sanguinosa. Però ogni tanto un miracolo lascia in vita qualche posto come questo, un'oasi sempre troppo piccola e mortificata rispetto al cancro che sta cercando di divorare ogni cosa. 
A S. Giovanni li Cuti le case riescono ancora a ridere con i tre o quattro colori che hanno a disposizione : il grigio sfumato, il giallo pallido, il rosa diluito e il bianco. La piazzetta che guarda il mare ha nel centro il suo albero d'ordinanza e, in un angolo, la fontanella in pietra lavica lavora onestamente per assolvere il suo compito naturale: sprecare l'acqua preziosa sul selciato. Il mare s'insinua dentro una darsena grande come un bicchiere e accarezza le pietre lisce e nere dell'arenile. Le luci ormai sono accese, ma discrete, io guardo in basso verso l'acqua scura e oleosa che scivola lenta sulle barche allineate come muli attaccati ad una stessa lunga corda. Finalmente c'è la calma necessaria per lavarsi le mani, il risultato non è perfetto, ma posso accontentarmi, questa sera mi presenterà ben altri esami da superare. Passa qualche coppietta, mi guardano tutti con stupore e fastidio: cosa ci fa un tizio solo in un posto come questo? Eravamo venuti per stropicciarci un po' a comodo nostro e adesso 'sto cretino ha rovinato tutto ! Sono assolutamente certo che è questo ciò che stanno pensando. Non me ne frega niente, cerchino altre alcove, altri lidi, altre vite da consumare, io non cederò il nido a questi sparvieri da strapazzo, non stanotte. C'è un silenzio corposo solcato di tanto in tanto dal ronzio delle auto che passano veloci a cento metri da qui sul lungomare. Mi siedo con le gambe penzoloni sulla massicciata di cemento che fa da banchina, e sono finalmente solo. Ho cambiato spesso i luoghi dove vivere, ho provato a diventare cittadino del mondo, di questa piccola parte di mondo che mi è toccata in sorte, ma non sono un uomo adatto per tutte le stagioni. E' stata una forzatura: appartengo ad una sola città, anzi ad una parte di essa e le stagioni, una volta passate, si possono ricordare senza impegno eccessivo non rivivere. Negli ultimi trent'anni ho danzato spesso con dei sosia, facsimili del sesso, della parola, del pensiero e non l'ho gradito; danzavo con le lacrime agli occhi perché la musica mi è sempre piaciuta, perché se stai fermo sparisci, se non ti metti in gioco non godi, se non provi non conosci. 
Maledizione, sembra tutto così ovvio: ma io sapevo di aver a che fare con surrogati, lo capivo quasi subito e…ci provavo lo stesso. Faccio parte di una generazione d'imbecilli cresciuta a pane e autocritica, gente che, a forza di cercare dove ha sbagliato, è riuscita a liberare tutti gli spazi per coloro che mai hanno avuto uno scrupolo e mai ne avranno. Lo ha detto fino all'ultimo un vecchio e allampanato giovanotto milanese: la mia generazione ha perso. E' vero Gaber, prendiamone atto, potremo anche riderci sopra, cambiare registro ma non cancellare la malinconia di una sconfitta annunciata. Se alzo la testa verso il cielo di fine estate non vedo stelle, troppe luci artificiali, troppe distrazioni. Ho un disperato bisogno d'onestà intellettuale perché l'ho sempre saputo o perlomeno percepito che, assieme a questa vita cruda, reale, con i suoi contorni netti e indiscutibili, c'è un'altra esistenza. Una vita diversa, trasversale, che emerge all'improvviso dentro i miei giorni per poi immergersi nuovamente nell'indefinito, nel probabile mai sicuro. Una sospensione capace d'assumere qualsiasi forma, in qualsiasi momento oppure non assumerla mai. Per me non è mai stato difficile galleggiare in questa nebulosa e nemmeno doloroso ; è vero semmai il contrario. Nella vita normale, quotidiana, sbaglio sempre e soffro senza voluttà nell'altra invece…che sogni, che gioie, che visioni. Un leggero brusio, un parlottare trattenuto, un'altra coppia che s'allontana e di me non saprà mai nulla. Non provo nessun dolore, mi difendo così dai molti distacchi e dal nomadismo della mia vita; ho sempre abitato in grandi città troppo diverse fra loro, mi sono accomodato spesso anche in piccoli paesi, mondi fini a se stessi, autosufficienti e orgogliosi. Nessuna cosa al mondo può unire Varese a Castelvetrano, Milano a Palermo, Paceco a Catania, Alessandria a Siracusa, la pianura padana e Capo Isola delle Correnti, Firenze e Grammichele, ma io li ho attraversati tutti e tutti mi son rimasti addosso. -Sei fortunato! Io della vita non ho visto quasi nulla.- Anna lo dice spesso: rassegnazione? Invidia? -Vi lamentate perché avete troppo, u Signori duna biscotta a cu' nun avi denti.- Poi, in genere, si gira e mi lascia con la sensazione di una cosa a metà…e se avesse ragione lei? Viaggi, traslochi, cambiamenti, addii, sono stanco di distacchi; ho avuto troppo o troppo poco e la rabbia allucinata di un'ora fa sta montando di nuovo, però adesso non so dove andare, tutto esaurito dal centro urbano agli eremi silenziosi ma qui non resto. 
Prendo la macchina e lascio campo libero.... carusi ripigghiativi i cuti, io scinnu chiù sutta. Un altro spostamento e questa volta per scelta precisa o, meglio, per un assoluto bisogno mentale..... Guiderò per una settantina di chilometri, devo raggiungere un altro mare: so esattamente cosa è successo, la mia mente si è messa in cammino in modo autonomo: io la conosco bene, si fermerà da sola per sfinimento e finalmente mi lascerà dormire; ma adesso galoppa veloce verso sud, verso Ortigia, verso un angolo preciso di strada, in direzione d'antiche stagioni mai dimenticate.

martedì 10 gennaio 2017

NON E' VERO

Non è vero che mi faccio capire e, allo stesso modo, ciò che scrivo non mi rappresenta quanto io vorrei. Il blog è comunque il confine più vicino ai territori del mio spirito, da lì in poi devi inventarti pioniere. 
Tutta la mia vita, quella che conta, l’ho trascorsa in un confronto impietoso tra i miei sogni, i miei impulsi e il mondo che m’era toccato di vivere; dopo i 16 anni sono saltato su così tanti campi minati che oggi dovrei essere solo uno storpio, un povero corpo mutilato da ferite non più ricomponibili. La libertà, la democrazia, l’amore e la rappresentanza, la società e perfino la storia, tutto questo enorme e composito fardello di idee non sono mai entrate dentro di me in modo naturale e piano: ogni anelito è stato sempre filtrato dalla cultura della mia generazione e dalla musica che ne era la più diretta emanazione. E ciò non l’ho mai compiutamente digerito! 
Non c’è un concetto più avversato da quelli che nel ’68 avevano 16-18 anni di quello di un tutor, dello stronzo di turno che ti dice cosa e come. E non c’è stata una generazione che, invece, ne avrebbe avuto più bisogno, seduta al limitare fra mondi completamente diversi, divisi da spaccature micidiali, lontani per sempre su tutto. Io non amavo, bevevo letteralmente i testi e il suono delle chitarre dei gruppi rock che stavano “devastando” il panorama musicale di quegli anni: lì c’era ciò che volevo o credevo di volere o, meglio, ciò che qualcuno mi aveva fatto credere io volessi. Altri tutor insomma ma più subdoli perché immensamente amati. Questa è la storia della mia vita: guardare la luna indicata dal dito…e prendere sempre una sberla come se fossi ugualmente un’idiota. Pare che non sia possibile vivere, pensare, amare senza l’ausilio indispensabile di una qualche droga, di un aiuto sintetico che ti apra la mente su orizzonti nuovi e validi. Pare che non sia attuabile alcun valido intervento sulla realtà umana e sociale senza scannare qualcuno o sacrificarlo sull’altare di interessi più alti e nobili. Annuivamo nel ’70, continuiamo a farlo oggi. Io sono un uomo sfinito dalla schizofrenia di un’esistenza accompagnata da gente che artisticamente amavo e politicamente e ideologicamente invece non digerivo. 
So perfettamente che non ricucirò lo scollamento, non certo in questa vita e il senso d’impotenza mi sta uccidendo lentamente e poi sono solo, giustamente e lucidamente solo. C’è una luce particolare oggi sullo Ionio, un filtro di perla per ammorbidire gli spigoli dei miei umori confusi. Anche ora la musica di uno degli artisti che ho amato di più mi porterà fuori dalle secche di questa sera infinita, sarà il dito che ti indicherà la mia luna, ti dirà le parole che io non so pronunciare e avrò la speranza che l’amore in assoluto ricomponga il dissidio di sempre e che scriverlo non sia stato inutile. De Andrè ha già iniziato a raccontare del chimico che conosceva la legge che permetteva agli elementi di convivere senza scoppiare e ancora una volta chinerò la testa per ringraziarlo d’avermi fatto guardare oltre.

domenica 8 gennaio 2017

VOILA'

T’inventerai un’altra vita per pensare 
a questa vita 
costruirai la tenacia con cui 
inafferrabili
sprofondano le cose.
Continui a dirti che se solo lo volessi
se solo ci credessi
potresti farle vere e ferme
potresti liberare l’anima del mondo.
Ma non puoi, ci sono io col mio affetto
asimmetrico
col mio cuore che batte
con i miei abusati candori.
Voilà!
Dovrai inventarti una vita diversa
per ripensare a questa che stai consumando
tra noi.
Ma è irreparabile la sconfitta delle cose passate
il senso sottile che ti stia spogliando di tutto
del tuo ultimo sguardo per me
della mia residua frase d’amore che ti attende
alla fine di questo buio.
E infine dimenticherai che nella prossima occasione
volevi essere felice.

giovedì 5 gennaio 2017

OPINIONI

Questo non è un blog d'opinione, che significato ha questo termine?
IO HO UN'OPINIONE,  l'ho su molte cose ma non faccio opinione! Non pretendo di farla, me la studio, la vivo e la analizzo. Non la vendo ma la difendo aprioristicamente se essa viene attaccata gratuitamente, l'ideologia di altri non può valere più della mia per partito preso. Avere una opinione, scriverla in rete significa nella gran parte dei casi suicidarsi per contatti e audience; nei blog decenti da un punto di vista letterario l'opinione è UNICA, una dittatura del pensiero che nasce da molto lontano, dalla fine del secondo conflitto mondiale e dalla egemonia ideologica della sinistra che pretese di fondare questo straccio di Repubblica delle banane su una guerra civile. Ma io per fortuna ho superato da tempo l'imbarazzo di dover piacere per forza a qualcuno, di dover cinguettare su testi e concetti falsi e vuoti.
Guardatevi attorno...prati immensi pieni di margheritine da cogliere per farne deliziosi mazzi come cadeux alla blogger o la blogger di turno - ma sei bravissimo, quanta poesia. l'umanità dolente, i buoni di qua i cattivi di là,  l'elite intellettuale, il nuovo mondo, il nuovo sesso, le donne sempre una spanna  più su, i clandestini uber alless, il mondo arabo e gli schifosi occidentali - Un vortice di colori stupendi e voi/noi lì dentro a gorgheggiare l'unico canto che non ci lasci isolati! Alcuni dei prossimi post sono dedicati alle mie opinioni così a scanso di equivoci chi legge sa con chi ha a che fare. E' utile, onesto, per certi versi proficuo (se ci si confronta con teste pensanti) e soprattutto liberatorio. Da quando scrivo in rete ho contatti speciali con blogger che ritengo abbiano opinioni molto diverse dalle mie se non contrastanti; ho ben capito che esprimere con chiarezza le proprie idee in aperto contrasto con quelle di tendenza nell'ambiente frequentato ti espone a un isolamento mediatico potente e progressivo. Devo francamente confessare due cose: la prima è che chi è in asse con le mie opinioni mediaticamente e culturalmente è spesso una nullità mentre dalla riva opposta ci sono fior di esecutori. La seconda è che non mi importa dell'isolamento io non faccio compravendita di contatti e non sono disponibile a compromessi a qualunque costo. Io sono un uomo libero, sarà questo che vi disturba.

martedì 3 gennaio 2017

L'AMORE DAL SILENZIO

Sapere e aver saputo, leggere e aver letto e poi studiato e aver viaggiato senza ipocrite paure fra le opposte ideologie di questo mondo che ci è stato donato. Ho capito da molto tempo ormai che ne facciamo scempio, ho inteso che anch’io col mio rigore e la mia cultura resto un grande peccatore, con maggiori colpe di altri che almeno non sanno e mai hanno saputo. Avrei bisogno del silenzio di un monastero, dello specchio onesto della mia anima senza altri intermediari che la mia coscienza: e invece sono qui davanti ad uno schermo che, aperto, mi butta in faccia il mondo. Prego per resistere, in fondo si esce dal silenzio e si torna nel silenzio, non è una maledizione, una iattura, è un premio. Il silenzio definisce ed esalta, raccoglie i profumi, acuisce i sensi, raccoglie la vita nel palmo di una mano. La mia e la tua. Niente è più forte di una comprensione che giunge accolta da un grande silenzio. Parlerò d’amore anche stasera. Per non sapere fare altro. Parlandone mi avvicino a stringere quella sensazione, mi avvicino e mi fermo sul limitare di un totale dispiegamento. Oltre non è concesso a nessuno andare, oltre le colonne d’Ercole c’è l’infinito dramma del non ritorno, della vita senza un perchè.
Parlerò d’amore e quasi tutte le parole resteranno chiuse in gola e scuoterò la testa invocando l’unica che potrebbe dare loro la libertà di volare chiare nel cielo. E’ solo una questione di fede, come sempre: una scelta d’abbandono predestinato e fuor di logica. Dovrei credere che il filo sottilissimo possa ricomporsi. Che la frattura guarisca, senza segni, senza enfasi alcuna. Carezzo il velluto della poltrona con una lentezza golosa: ti rivedo al pianoforte e ti risento, suoni per me come allora ma dovrei credere che il filo sottilissimo si sia ricomposto. Carezzo il dorso dello schienale e in questa stanza non c’è nessun altro al di fuori di me e del mio ricordo vivo.

domenica 1 gennaio 2017

LA VIRTU' DEL PESCATORE

La pazienza è la virtù specifica del pescatore, l’impazienza quella degli altri. Si getta la lenza da uno scoglio, in un punto dove solo il pescatore conosce bene il fondo. E si aspetta e l’attesa può durare anche molto tempo. Mentre passano le ore e le stagioni diventa naturale riflettere e ricordare; l’analisi può essere illuminante e definitiva in questi casi, comunque un punto di riferimento. Le decisioni sono sempre secondarie anche se prevedibili: spesso ho atteso fin oltre l’ultimo minuto accettabile, per affetto o paura del nuovo ignoto che mi attendeva. Quando il grosso pesce arriva è sempre una sorpresa, un insulto alle proprie capacità di preveggenza: lo aspetti sempre qualche minuto dopo… 
La stanza segreta è qui e adesso, è una storia iniziata molto tempo fa. E’ l’attimo in cui arrivi a quella comprensione che ti sfugge da sempre. E’ un legame profondo, irrinunciabile, uno scrivere e pensare da lontano con una vicinanza intellettuale rara. La stanza è un simulacro dell’illusione di poter condividere ma è anche la definitiva sconfitta di un sogno leggero e invidiabile. Era risaputo, era scontato che l’apertura della porta avrebbe portato con sé una sospensione infinita di questo spazio. La preda si libererà dall’amo con uno strattone e libererà finalmente anche me: un segno di affetto profondo. Io non ho rimpianti, stare qui mi è piaciuto davvero , condividere anche i disaccordi o le reprimende ancora di più. Ma vi sono cose che non è possibile raccontare, forse solo intuire. Non chiudo, resto qui così con tutti i miei orpelli in bell’ordine, commenti compresi, in una tensione infinita che è il solo segno di una vita diversa perché al fondo di tutto non sono un ladro ma solo un sognatore. Come tanti.